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Spettacolo

Gino Paoli: “Catalogo? Il mio l’ho venduto anni fa. Ho paura di ricominciare dopo il Covid”

Gino Paoli: “Catalogo? Il mio l’ho venduto anni fa. Ho paura di ricominciare dopo il Covid”. Gino Paoli, il catalogo e non solo, il cantautore parla a tutto tondo delle ultime novità in campo musicale in una intervista al Venerdì de ‘La Repubblica’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] Springsteen ha ceduto anche il controllo dei master e le registrazioni.
«Se è proprietario dei suoi master può venderli. L’edizione è soggetta a regole diverse: puoi anche aprire una società di edizioni in cui depositi tutti i tuoi pezzi. Evidentemente è gente che preferisce avere i soldi che non la proprietà delle canzoni».

Gli acquirenti possano fare di quei brani quello che vogliono?
«Più o meno, anche se l’ultima parola nell’uso di un pezzo è sempre dell’artista. Nel senso che se quest’ uso danneggia la sua immagine o la sua vita artistica allora può dire no».

Quindi lei proprio non venderebbe?
«Il mio catalogo di allora l’ho già venduto, tanto tempo fa, nel senso che era editato da altri, prima Ricordi, poi Cbs… Poi ho iniziato a usare una mia società di edizioni per depositare i brani (la Senza Fine, ndr)».

Quindi se vogliono usare Il cielo in una stanza in una colonna sonora o in uno spot pubblicitario glielo chiedono prima, oppure eventualmente può rivalersi dopo?
«No, a me lo chiedono prima, non so agli altri. Io ho un agreement con la casa discografica per cui ascoltano prima me per sapere se va bene. Ma non ho mai detto di no perché non erano cose che potevano danneggiarmi».

A cosa direbbe di no?
«Posso dire una cosa buffa, per capirci: se vogliono usarle come pubblicità di una carta da cesso posso dire di no. Perché non mi piacerebbe la cosa, ma non è detto che l’abbia vinta io».

Gino Paoli: “Catalogo? Il mio l’ho venduto anni fa”

[…] Neil Young ha tolto la sua musica da Spotify perché sulla piattaforma c’era anche un podcast di un No Vax.
«Noi siamo quelli con un faro addosso e il nostro compito certe volte è portare quel faro su un problema preciso in modo che la gente lo veda. È un compito che ci spetta».

La preoccupa l’uso che potrebbe essere fatto in futuro della sua musica senza il suo controllo?
«No, perché sarò presuntuoso ma la mia musica ha un livello che impone un certo rispetto. Prendi Papaveri e papere, canzone bellissima di tanti anni fa, ma forse puoi anche sporcarla in qualche maniera. Prendi però Il cielo in una stanza: sono cazzi tuoi se provi a sporcarla, no?».

All’ultimo festival di Sanremo è stata cantata da Mahmood e Blanco.
«È stata una cosa molto rispettosa della canzone. E nello stesso tempo l’hanno tirata dentro in un mondo che non le appartiene, ma in cui può sopravvivere. Un’operazione che non mi è dispiaciuta per niente».

[…] La musica dal vivo le manca?
«Molto, è un anno che non canto in giro. E ho paura a ricominciare: ho sempre avuto paura di andare sul palco, non mi sono mai veramente abituato. Al festival di Sanremo del ’64 ero con Modugno, bevevamo alcolici. Io lo guardo e gli dico: “Ma tu ti caghi ancora addosso? Sono anni che canti”. E lui: “Guarda, o ti caghi addosso tutta la vita oppure non ti caghi addosso mai”.

In quel momento passava la Cinquetti, tutta carina, tranquilla. “Vedi lei? Non ha paura”. E infatti quando siamo usciti sul palco abbiamo fatto un casino. Prima è toccato a lui, e mi fa: “Hai della segatura? Perché mi son cagato addosso”. Si era dimenticato le parole della canzone, aveva inventato lì per lì le prime due strofe. Quando ho cominciato a cantare io la gente pensava che il microfono non funzionasse, invece non mi usciva la voce. Figura di merda niente male, tutti e due».

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