Eleonora Daniele: “Mio fratello autistico mi ha insegnato tante cose. Forse morto perché era stanco di combattere”. Eleonora Daniele e il fratello autistico, la conduttrice racconta la sua infanzia con il fratello affetto da autismo in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
«chi era suo fratello Luigi?» […] Perché già si commuove?
«Perché nessuno mi ha mai chiesto chi era. Per tutti, sapere che era autistico equivale a sapere chi era. Invece, era una persona, con un suo carisma, un suo carattere e desideri che per decenni ho cercato di interpretare. Ogni autistico è un caso a sé e, dietro ognuno, c’è un infinito da scoprire».
Lei, la sorellina minore, era il tramite tra quell’infinito e il resto del mondo.
«Nessuno sapeva cosa pensasse. Non ha mai parlato. Ho imparato a capire se aveva sete o voleva un gelato alla fragola. E non sempre indovinavo. Se stava male, non sapevi se era un piede, un dente, lo stomaco. Ho due sorelle molto più grandi, lui aveva sei anni più di me, i miei lavoravano e io, da piccola, ero quella che stava di più con lui. Ero io la sua cocca e non lui il mio. Per cui, mi ha insegnato tante cose, nei suoi silenzi. Mi ha insegnato a stare in ascolto. È dura parlarne, i ricordi affiorano e io non sono pronta».
[…] Che cosa significava una diagnosi di autismo nel 1970?
«Se ne sa poco anche oggi, si figuri allora. Le famiglie erano abbandonate, isolate. Da poco la legge Basaglia aveva chiuso i manicomi ma anche tante strutture intermedie. Trovare un centro diurno dove un bimbo come lui potesse essere seguito non come se fosse matto era un’impresa. C’era tanta ignoranza. Anche da parte dei medici».
Eleonora Daniele: “Mio fratello autistico mi ha insegnato tante cose”
Per i suoi genitori come è stato?
«Sono stati straordinari. Intanto, non si sono mai vergognati. Non era scontato. Non hanno mai nascosto Luigi, vivevamo a Saonara vicino a Padova, lui frequentava la salumeria di famiglia anche se, nel mezzo di una crisi, poteva rovesciare uno scaffale di sottaceti. Il vantaggio del paese è che è una famiglia allargata, invece, nelle città, nel chiuso degli appartamenti, quella rete sociale manca».
[…] Quanto fu doloroso doverlo mettere in istituto?
«Fummo obbligati, papà era invecchiato e non riusciva più a tenerlo durante le crisi. Io avevo 14 anni e, a lungo, ho pensato solo a diventare indipendente per andare a riprendermelo. Poi l’istituto è diventato casa sua. Io piangevo quando ce lo riportavo la domenica sera, ma lui sorrideva. Ho dovuto accettare che tenerlo con me era egoistico».
[…] Luigi è morto a 44 anni, inspiegabilmente. Lei crede che si lasciò andare perché, per via di una normativa regionale, gli cambiarono istituto, togliendoglielo dal luogo dove stava bene da vent’anni?
«Una risposta vera non l’avrò mai. La sensazione è che anche i più fragili, a volte, si stancano di combattere come ci stanchiamo noi. Chi ha un disabile in famiglia vive una lotta contro la burocrazia. Mancano le strutture e, negli ospedali, manca il personale sanitario formato per curare persone con bisogni speciali. Manca tutto.
Io con l’associazione fondata con le mie sorelle supporto chi insegna a parlare ai bimbi autistici. Mi sono sempre chiesta se mio fratello avrebbe potuto imparare qualche parola. Quando lo sogno, e lo sogno spesso, parla sempre perfettamente e con voce limpida».
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