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Renato Pozzetto: “Io e Cochi figli della guerra, un episodio ci ha divisi. Ho una sola paura”

Renato Pozzetto e Cochi Ponzoni, com’è andata veramente? Lo spiega l’attore milanese in una intervista a ‘Il Giornale’

Renato Pozzetto: “Io e Cochi figli della guerra, un episodio ci ha divisi. Ho una sola paura”. L’attore racconta l’avventura nel duo che l’ha reso famoso insieme a Cochi Ponzoni, in una intervista a ‘Il Giornale’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Lei e Cochi Ponzoni come vi siete conosciuti?
“Io e Cochi siamo figli della guerra. Ci siamo incontrati scappando da Milano perché avevano bombardato le nostre case e le nostre famiglie si sono incontrate sul lago Maggiore, a Gemonio. Così, fatalmente, siamo diventati amici e, finita la guerra, siamo tornati a Milano, ma ogni anno passavamo le vacanze a Gemonio, un paese di contadini che offriva poco per i giovani. Per divertirci tra di noi abbiamo cominciato a strimpellare la chitarra e a cantare canzoni popolari e, poi, intorno ai 15 anni, ci esibivamo durante le feste in casa tra amici”.

[…] Perché avete interrotto la vostra collaborazione artistica?
“Quando ho avuto la mia prima figlia eravamo tutti e due ad aspettare l’evento e l’infermiera che ci ha fatto vedere la bimba ha detto: “Questa è la figlia di Cochi e Renato”. Non potevamo continuare fare tutto in due e, allora ognuno ha preso la propria strada anche perché nel cinema, se diventi una coppia, rimani tale e molte opportunità si chiudono”.

Quando ha capito che avrebbe sfondato dal punto di vista professionale?
“Il punto d’arrivo è quando giri per strada, la gente ti riconosce e ti saluta. Noi avevamo fatto tanta televisione e, quindi, il pubblico ci ha seguito anche nel cinema”.

[…] Perché i suoi film, nonostante sbancassero al botteghino, sono sempre stati un po’ sottovalutati dalla critica?
“Noi non lavoriamo per la critica, lavoriamo per il pubblico. Io ho fatto 70 film perché il pubblico veniva e viene a vedermi. Se non fosse venuta la gente a vedermi, avrei fatto un altro mestiere”.

Cos’ha provato nel vincere il Nastro d’Argento per un ruolo drammatico?
“È un buon riconoscimento. Ho accettato di fare il film per me, non per i riconoscimenti. Ho letto la sceneggiatura, mi piaceva, mi sono emozionato e, nonostante mi fossi misurato sull’umorismo per tutta la vita, ero sicuro di farlo bene e così è stato”.

Cosa pensa del ‘politicamente corretto’? Un film come La patata bollente sarebbe ben accolto oggi?
“La patata bollente era un film sul rispetto di persone che gradivano vivere a loro modo e, quindi, il rispetto per il prossimo. Oggi è normale girare un film di quel tipo, ma all’epoca, siccome io facevo film divertenti si presumeva che prendessi in giro la situazione e, invece, l’ho trattata con molto rispetto”.

Come ha trascorso quest’ultimo anno caratterizzato dal covid e dalle quarantene?
“Come ha raccomandato la scienza. Sono stato chiuso in casa. Quando abbiamo fatto il film, abbiamo preso tutte le precauzioni: visite, tamponi e mascherine. Seguendo le regole, sono riuscito a far bene”.

[…] Qual è la sua più grande paura?
“Vista l’età di non soffrire troppo quando lascerò nel momento fatale”.

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