Stella Egitto si racconta a ‘Vanity Fair’
Stella Egitto si racconta: “A 11 una grave perdita mi ha dato la spinta. Popolarità? Mi frega relativamente”. L’attrice che interpreta il personaggio Maurizia in ‘Buongiorno mamma’ parla a cuore aperto in una intervista a ‘Vanity Fair’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Maurizia, il suo personaggio in Buongiorno, mamma, l’anarchia la conosce bene.
«Mi piace definirla un personaggio satellite. Adoro interpretare storie che non si distaccano dall’imperfezione dei casini di tutti noi: ho sempre creduto poco alle cose lineari e alla famiglia del Mulino Bianco. Maurizia è cresciuta sola con una madre in un contesto di periferia e verrà mossa da una serie di cose che ciascuno di noi può riconoscere come vicine a sé».
Lei di casini ne ha combinati, invece?
«Qualcosa me la sarei potuta risparmiare, ma tutto sommato no: credo molto negli incontri fortuiti, che hanno un ruolo chiave nella mia vita. Forse, da un’altra dimensione, papà coordina tutto: sono molto empatica e molto aperta, non nasco come una fuori strada».
Che bambina era?
«Avendo perso mio padre a 11 anni ho iniziato a farmi subito delle domande: è un’età di passaggio in cui il corpo cambia, ti iniziano a guardare e cerchi di trovata una quadra. Sono stata una bambina molto amata, mamma è una donna libera che ha fatto i suoi errori ma che, quando le ho detto che avrei voluto fare l’attrice, mi ha subito incoraggiata consigliandomi di studiare e di prepararmi».
Stella Egitto si racconta: “La perdita di mio padre ha toccato corde particolari”
La passione quando arriva?
«La perdita di mio padre ha toccato delle corde particolari che mi hanno fatto capire che, se non vedi più il cielo azzurro, è importante andare a rincorrerlo. Grazie a un professore molto bravo mi sono innamorata della drammaturgia: leggere i testi teatrali mi permetteva di vivere delle vite diverse dalla mia, potenzialmente infinite. Così ho iniziato subito con i laboratori a Messina piena di voglia di fare, affamata di palco. Una volta preso il diploma sono andata in viaggio-studio in America, ma prima mi ero messa nella borsa il libro di storia del teatro drammatico spiegando a mia madre che avrei provato alla Silvio D’Amico di Roma e al Piccolo di Milano».
Determinata.
«Ero talmente carica e talmente motivata che sapevo che ce l’avrei fatta. Dei feedback negativi me ne sono sempre fregata e l’incontro con Ronconi all’Accademia mi ha portato a farmi le domande giuste, una cosa fondamentale per formulare delle risposte tue, personali».
È ancora impermeabile alle critiche?
«Con il tempo ho affinato i miei elementi critici. Difendo il mio entusiasmo, quella parte bambina che mi auguro di non perdere mai perché il bambino ti dice la verità in maniera spietata, non conosce le sovrastrutture. Io sono così, fortissima e fragilissima, sperando che le cose che mi hanno fatto del male siano una ferita e non una cicatrice».
[…] A occhio e croce, direi che di sogni ne ha realizzati parecchi. Cosa rimane?
«Continuare a viaggiare a questa velocità. Della popolarità mi frega relativamente: mi interessa solo crescere attraverso gli incontri, lavorare su personaggi sempre diversi e fare del mio meglio. Profondamente grata di quello che ho».
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