Selvaggia Lucarelli spiega le dipendenze affettive in una intervista a ‘Vanity Fair’
Selvaggia Lucarelli: “Dipendenze affettive? Cosi si riconoscono. Diffidate di 2 frasi…”. La giornalista racconta i sintomi del disagio in cui è caduta anche lei in una intervista a ‘Vanity Fair’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Succede quando si incontra un narcisista?
«I narcisisti si presentano sempre con un biglietto molto splendente, ti danno quest’idea di essere l’unica, sempre dal loro punto di vista, quindi l’unica a cui è concesso entrare in certi spazi, l’unica con cui si aprono. Le classiche frasi potrebbero essere queste: “Io sono sempre scappata, ma con te…”, “Io non ho mai vissuto con nessuno, ma con te…”. Solo un escamotage per farti diventare una crocerossina».
La dipendenze affettive, però, riguardano le donne, ma anche gli uomini. Una delle storie di «Proprio a me» ha, infatti, per protagonista un uomo.
«Sì, e la sua relazione tossica ha avuto una durata enorme, 10 anni. Ha avuto bisogno di molto più tempo per capire che c’era in atto una violenza psicologica molto sottile. Le donne possono essere delle manipolatrici eccezionali. Conosciamo meno storie che riguardano gli uomini anche perché tendono a voler condividere molto meno le loro vulnerabilità».
Quanti commenti, lettere, messaggi ha ricevuto finora?
«Milioni, un fiume di racconti. C’è chi mi ha detto che è andato su Google per capire se fosse vittima di una dipendenza effettiva, chi ne era già consapevole. Altri mi hanno scritto di essersi riconosciuti nei manipolatori».
C’è sempre una vittima e un carnefice?
«No, non è un gioco di colpe. Non esiste una dipendenza affettiva senza una complicità tra le parti in causa, anche se evidentemente c’è una delle due parti che soccombe».
Col senno di poi, il suo «carnefice» lo assolve in qualcosa?
«Io credo che arrivati a una certa età, i propri limiti bisogna capirli. E lavorare su stessi. Dovresti cercare una soluzione, se ti lasci dei cimiteri alle spalle. Ma non esiste predatore senza preda. Una parte di responsabilità quindi sì era anche mia. Anch’io dovevo lavorare su me stessa. Dovevo proteggermi di più, capire che stavo soffrendo di una dipendenza affettiva. L’importante è dire “dobbiamo proteggerci e non dire che siamo solo vittime”».
Sa che fine ha fatto quell’uomo? Le viene mai voglia di googlarlo?
«No. Credo che si è davvero guariti, quando non si ha più curiosità. Spero sia felice, la sua vita è una cosa che non mi riguarda più. Un tempo mi capitava di dover passare spesso davanti a casa sua, e ogni volta o era un dolore acuto o preferivo cambiare strada. Finché una volta mi sono resa conto di essere nella “sua” strada e di non averci nemmeno fatto caso».
Nessuno si salva da solo?
«Io credo che sia uno dei casi in cui tutti si salvano da soli. Certo, gli amici, le persone di cui ci si fida hanno il ruolo del grillo parlante, ma non hanno un potere persuasivo. Sono una sorta di ripetitore di quello che tu stai vivendo. Una dipendenza affettiva ti toglie lucidità, ti toglie tutto. A me è successo che quando ho toccato il fondo, a un certo punto me ne sono accorta».
[…] In una dipendenza affettiva possiamo caderci tutti?
«No, non tutti per fortuna. Chi ha gli strumenti per scappare, li usa subito, fortunatamente».
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