Anna Mazzamauro su Paolo Villaggio e non solo, l’intervista a ‘Vanity Fair’
Anna Mazzamauro: “Paolo Villaggio trattava i rapporti di lavoro come il cibo. Mi ha rivolto solo una frase”. L’attrice riporta in scena, dalla prossima Estate, la signora Villani, moglie di Fantozzi, e rivela alcuni retroscena del celebre protagonista in una intervista a ‘Vanity Fair’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Di nuovo in scena dopo questo stop. Con quale animo?
«Mi commuoverò molto, a nome di tutto il teatro italiano. Perché non ricomincerò solo io; ci sarà un bel codazzo di colleghi che verrà dopo di me. Sempre dopo, eh! Scherzo… Fino a un certo punto».
Come nasce questo spettacolo?
«Io sto tanto bene da sola sul palco, non sa quanto! E siccome trovo immorali quegli attori che leggono un testo, prendono i soldi e se ne vanno, mi sono inventata questa lettura spettacolo… un letturacolo. Quello che ha scritto Paolo Villaggio, lo leggo; quello che ho scritto io, lo recito».
[…] Perché l’ha ingabbiata in un ruolo?
«Se mi fossi fatta ingabbiare in quel ruolo, la stronza sarei io. È stronza come tipo di donna».
Stronza, ma simpatica.
«Ce ne sono tante di stronze simpatiche. Non mi faccia fare nomi! La sua stronzaggine, però, è impastata con la sua solitudine».
È stronza perché sola, o sola perché stronza?
«Lei sembra un po’ Marzullo, sa? In genere sono le donne intelligenti a essere sole, perché inavvicinabili. Quando un uomo frequenta una stronza, invece, se è intelligentino, non ce la fa a sostenerne la stronzaggine e l’abbandona».
Come è diventata la Silvani?
«Avevo già lavorato con Luciano Salce, il regista. Quando lui e Villaggio cercavano i cessi da mettere attorno a Fantozzi, si ricordò di me, ma per il ruolo della moglie Pina. Al provino andai con capelli da leonessa, un abito rosso attillatissimo, calze a rete. Mi disse: “Perdonami, ma ti ricordavo più brutta”. Paolo gli sussurrò all’orecchio: “È brutta anche lei, ha un sacco di difetti, però li porta sui tacchi. Uno come Fantozzi non può che sognare una così”».
[…] Com’era Villaggio?
«Molto chiuso. Ricordo un set, a Courmayeur. Eravamo soli, nella neve. Era bianco come può esserlo il Monte Bianco. Io vestita da Heidi e lui coi calzoni ascellari. Un silenzio agghiacciante. All’improvviso mi dice: “Anna, sai chi mi ha cercato? Strehler! Vuole che interpreti Il buon soldato Sc’vèik”. “Che bella intuizione, sei contento?”, dissi io. “Sì, molto, devo andare a parlare con lui”. Punto. Non mi ha più detto nulla e non è più successo niente. Trattava i rapporti di lavoro come il cibo: si faceva portare cartoni strapieni di pizze, ma ne sbocconcellava soltanto un po’».
Faceva lo stesso con le persone?
«Non so, non eravamo amici. Eravamo compagni di strada nel cinema, rispettosissimi l’uno dell’altra».
Le dispiace non essere stata sua amica?
«Non amo essere amica degli attori. Perché gli attori hanno un rapporto vero solo quando stanno in scena».
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