Rito caffè espresso, Treviso prova lo ‘scippo’ a Napoli nella richiesta all’Unesco che dal canto suo rimanda la disputa all’Italia
Rito caffè espresso, Treviso prova lo ‘scippo’ a Napoli: “Non conta bontà ma quotidianità”. Il sapore unico al mondo di quello napoletano, contro il “rito quotidiano” a prescindere dal gusto, di Treviso. In Italia scoppia la disputa sull’identità culturale e sociale del caffè in tazzina, e per l’attribuzione territoriale del rito del caffè espresso. Ma andiamo per gradi.
La candidatura a patrimonio mondiale dell’umanità del «rito del caffè espresso italiano tradizionale», era stata presentata ufficialmente nel 2019 dall’omonimo consorzio trevigiano di tutela. Qualche mese dopo, promossa dalla Regione Campania, è arrivata quella della «cultura del caffè espresso napoletano».
Nelle due richieste c’è però una differenza sostanziale: la prima punta sull’importanza del consumo della bevanda come rito quotidiano, divenuto simbolo di un’intera nazione. Mentre la seconda, come tutti i prodotti meridionali, punta sul gusto e, ovviamente, sulla tradizione che ha reso praticamente un’arte questa bevanda.
Per onor di cronaca, Napoli può vantare torrefazioni centenarie, locali storici e peculiari abitudini sociali stratificatesi nei secoli. Già all’inizio dell’800 lo scrittore tedesco Johann Wolfgang Goethe ne decantava le lodi durante il suo Viaggio nel capoluogo partenopeo. Insomma, quando Napoli offriva caffè espresso, probabilmente a Treviso non conoscevano nemmeno l’esistenza di questa eccezionale bevanda che amiamo.
Nei mesi scorsi il confronto fra esperti, tecnici e politica su quale candidatura presentare è stato incessante. E questa inutile sfida è costata la rinuncia da parte della commissione nazionale per l’Unesco a chiederne il riconoscimento di «Bene immateriale dell’umanità». Almeno per quest’anno.
L’Unesco ha chiesto all’Italia di unificare i due dossier ma alla fine ha vinto l’incertezza. Così, il ministero delle Politiche Agricole ha deciso di trasmettere al team di valutatori dell’Unesco, la domanda del Festival Tocatì: la rassegna veronese dedicata alla salvaguardia degli antichi giochi di strada. E per il caffè se ne riparlerà l’anno prossimo.
La speranza adesso, per tutti noi, è che le aziende trevigiane e piemontesi si concentrino sulla qualità del prodotto, a nostro avviso condizione imprescindibile, anziché sul rito. Quest’ultimo non è infatti prerogativa italiana visto che in tutto il mondo esiste il rito del caffè, ma solo una parte dell’Italia può vantare un gusto unico con proprietà uniche.
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