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Spettacolo

Enrico Vanzina: “Cinepanettoni? Noi costretti dai grandi comici di allora. Ho sempre pensato a quel signore che compra il biglietto”

Enrico Vanzina sui Cinepanettoni e non solo, l’intervista a ‘OFF’ de ‘Il Giornale’

Enrico Vanzina: “Cinepanettoni? Noi costretti dai grandi comici di allora. Ho sempre pensato a quel signore che compra il biglietto”. Il regista ripercorre le tappe più significative della sua lunga carriera in una intervista rilasciata a ‘OFF’ de ‘Il Giornale’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Come inizia il suo percorso nel cinema?
“In realtà, io volevo fare lo scrittore, non volevo assolutamente seguire mio padre. Poi però, sono stato risucchiato da questo mondo. Trascinato anche da mio fratello Carlo, che invece aveva una profonda passione. Fu aiuto regista di Monicelli (in “Amici miei”, “Romanzo popolare”, “L’armata Brancaleone”) e aiuto regista di Sordi in “Polvere di Stelle”. Io, invece, iniziai per caso facendo l’aiuto a mio padre e poi mi appassionai con una serie che mi fece girare il mondo “Piedone” con Bud Spencer.

In seguito, iniziò il sodalizio con mio fratello. Lui era un enfant prodige della regia e Carlo Ponti gli propose di girare il suo primo film da regista, “Luna di miele in tre” (1976) con Renato Pozzetto. Fu la mia prima sceneggiatura, girammo in Giamaica. Fu proprio Pozzetto a presentarmi Alberto Lattuada e la mia seconda sceneggiatura la scrissi per lui: “Oh Serafina” (1976). Subito dopo scrissi per mio padre Steno quello che divenne poi un cult “Febbre da cavallo”. Fu lui che ebbe l’intuizione di girare come una commedia anni ’50 questo film su un gruppo di scommettitori incalliti e un po’ cialtroni”.

Enrico Vanzina: “Cinepanettoni? Noi costretti dai grandi comici di allora”

“Sapore di mare”, “Yuppies”, “Vacanze di Natale” sono commedie che narrano l’Italia di quegli anni con una leggerezza che affonda le radici nel cinema popolare degli anni 50
“È stata una scelta obbligata. Noi apparteniamo ad una generazione in cui i più grandi comici, da Verdone a Troisi, Nuti, Benigni, avevano deciso di auto dirigersi e così non abbiamo avuto a disposizione i migliori talenti della nostra epoca.

Monicelli, Steno, Scola, Lattuada avevano avuto attori come Gassman, Sordi, Tognazzi, Manfredi. Noi abbiamo fatto di necessità virtù, realizzando film corali. Abbiamo valorizzato i cosiddetti caratteristi, scritto storie di gruppo. Film che si ispiravano a quelle innocenti commedie anni ’50. Noi abbiamo preso i comprimari, abbiamo lanciato un piccolo gruppo, “I gatti di Vicolo Miracolo”. Da lì, abbiamo scoperto Gerry Calà e personaggi fortissimi come Diego Abbatantuono. È nato un nuovo modo giovanile di fare commedia condita da tanto sentimento. Come “Sapore di mare”, il nostro personalissimo racconto degli anni ’60″.

[…] Il vostro è stato in ogni caso un cinema orgogliosamente popolare
“Ho sempre pensato, mentre realizzavamo un film, a quel signore che esce di casa per comprare un biglietto e andare al cinema. Dobbiamo fare di tutto per farglielo fare. I film nascono come prodotti artigianali, solo talvolta diventano artistici. Mai prima, non esistono capolavori annunciati. Il cinema è semplice. Ci si sbaglia sempre e si parla molto. Non appartiene agli autori ma è un prodotto collettivo. Il film è del regista, dello scrittore, del direttore della fotografia, degli attori, dello scenografo, del musicista… Quelli che dicono “il mio cinema” li detesto. “Il mio cinema” è un’espressione che non significa nulla. Esiste solo “il cinema”. Puro artigianato mimetico. Bisogna studiare la letteratura, la storia, l’arte, la musica. Certo, non è un lavoro per somari”.

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