Valentina Cervi si racconta in una intervista rilasciata a ‘Io Donna’
Valentina Cervi si racconta: “Io antipatica e arrogante, così ho aperto il cuore agli altri”. L’attrice figlia d’arte ripercorre le tappe significative della sua vita privata e professionale in una intervista a ‘Io Donna’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
[…] nel 1996, lei era stata di un’antipatia assoluta…
“Non mi stupisce. Lo ero sicuramente. E arrogante. Avevo tanta paura e con lei avrò messo avanti la durezza perché pensavo di non avere niente da dire”.
[…] La ribellione alla generazione precedente, i nuovi ideali che sostituiscono i vecchi, sono esperienze di quel periodo: sono state anche sue?
“Quel mondo lo conosco bene. È un sistema in cui la ribellione viene naturale. Avverti la somiglianza coi tuoi genitori e cerchi di sradicare da te quella parte di loro che hai dentro. La mia ribellione che maturava dentro una famiglia di borghesi, ma anche di intellettuali, alla fine si è tradotta in desiderio. Desiderio violento di esserci per i miei figli, tanto quanto i miei non c’erano stati per me. Di essere a disposizione, di non essere un modello inarrivabile. L’emancipazione femminile che mia madre (la produttrice Marina Gefter, ndr) attuò all’epoca – non allattare per esempio – forse è stata la ragione per cui io ho allattato per due anni. Le donne sceglievano di mettere il lavoro al primo posto, perché la famiglia scivolasse al secondo o al terzo: una scelta che mi ha segnato. Io certi film non li faccio per non stare lontana dai miei bambini”.
Valentina Cervi si racconta: “La malinconia ha fatto aprire il mio cuore agli altri”
In quella fase della storia delle donne coltivare più il fuori del dentro era una scelta politica.
“Ma portava assenza e provocava desiderio di indipendenza nei figli. Con i rischi che questo comporta. Non ti vedevano proprio i genitori! Io a 13 anni prendevo e andavo, in motorino, la sicurezza non era al primo posto. Quel sentirsi non solo “non sorvegliata”, ma proprio “non vista” ha creato in me un desiderio che oggi definiremmo “di famiglia allargata”, di ascolto degli altri. Il bisogno di essere accolta ha determinato anche la necessità di guardare l’altro. Ho creato una famiglia alternativa, che è stata la mia salvezza, e la salvezza anche di molte persone che conosco”.
Intende il set che si fa e si disfa?
“No, intendo gli amici. Costruire legami profondi e forti in cui sai che ci sei per l’altro, legami che nascono da una necessità di non essere solo e allo stesso tempo accogli altri che si sentono soli”.
[…] Un aspetto interessante di questa fase della nostra storia è che la lettura oppositiva del maschile e del femminile le nuove generazioni non sembrano averla più. Albinati scriveva: “Nascere maschi è una malattia incurabile”.
“Io ho un figlio maschio, ma mia figlia è più maschio di mio figlio, il suo maschile è più prorompente, lui è più riflessivo, più indipendente, più dolce. Mio marito ha una comprensione del femminile delicata, accogliente, protettiva, pur essendo un maschio alfa. Mio padre ha fatto quattro figli con quattro donne diverse, era un uomo che con grande scioltezza tradiva le sue compagne, eppure io ho sempre visto in lui una tale dolcezza, emotività e l’ho sempre amato e compreso, per me il maschio non è mai stato distante”.
Valentina Cervi si racconta: “Seguivo e amavo persone e cose che mi lasciavano in solitudine”
In quell’Italia, di Rossellini, di De Sica, non era raro che gli uomini creassero più di una famiglia.
“Ma non credo facessero i pascià nell’harem, pagavano anche lo scotto di quelle scelte. Di mio padre ricordo una grande malinconica che andava sempre a braccetto con la creatività e l’amore. L’ottava bassa era la depressione, l’ottava alta era la compassione, la comprensione. Quella malinconia la conosco bene, me l’ha attaccata, ma so che non è solo male, è anche un motore per capire il cuore all’altro”.
Non c’è creatività quando si sta bene?
“Per molto tempo ho scelto di amare e inseguire persone e cose che mi lasciavano nella mia solitudine perché pensavo che solo stando lì dentro potevo creare, coltivare ambizione e desiderio. Quando ho capito che era una trappola, ho accettato un aiuto, l’analisi mi ha portato a costruire una realtà vera di amore. Difficile è stato accettarlo, ma incontrare dentro una relazione qualcuno con cui creare un progetto comune è stato un punto di arrivo. Mi ero sempre immaginata a 60 anni sola con le mie amiche a prendere il tè, facendo film in giro per il mondo”.
Rimpianti per gli anni selvaggi?
“Nessuno, mi sono liberata delle sovrastrutture e dell’idea di dover essere amata dal mondo e scelta per averne la conferma. Quel bisogno non c’è più”.
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