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Cinema Spettacolo

Enrico Vanzina: “Lockdown all’italiana? Ho sentito mio padre e mio fratello morti. Cinema italiano senza identità”

Enrico Vanzina su Lockdown all’italiana: l’intervista a ‘Il Messaggero

Enrico Vanzina: “Lockdown all’italiana? Ho sentito mio padre e mio fratello morti. Cinema italiano senza identità”. Il fratello del noto regista scomparso due anni fa, esce con il suo primo film da regista ‘Lockdown all’ italiana’, nelle sale a metà ottobre. Si tratta di una commedia ambientata in due appartamenti diversi nel periodo di quarantena. Protagonisti Ezio Greggio con Paola Minaccioni da una parte, Ricky Memphis e Martina Stella dall’altra. Di seguito vi proponiamo alcuni passaggi dell’intervista rilasciata a ‘Il Messaggero’.

[…] Non poteva fare a meno di dirigere il film?
«Era una storia troppo mia, non poteva prenderla in mano nessun altro. Inoltre ho sentito vicini papà Steno e mio fratello Carlo che mi dicevano: provaci! È come se mi avessero spinto… E io mi sono buttato in questa doppia scommessa: volevo dimostrare che si può fare una commedia anche su un tema fortissimo come il lockdown e che si può fare un film in questo periodo difficile. Il pubblico sta tornando al cinema».

È ottimista?
«Certo. L’ isolamento ha solo rimescolato le carte potenziando lo streaming ma la gente avrà sempre il bisogno di andare al cinema. E credo nel mio film che è semplice e ben scritto, forse il più scritto di quelli che abbia firmato negli ultimi anni. Senza essere presuntuoso».

Pur essendo molto divertente, ha un retrogusto amaro.
«È vero. I miei personaggi sono dei mostri ai quali, però, finisci per affezionarti. Ma sempre mostri rimangono. Non succede spesso, diciamo la verità: le commedie recenti parlano quasi tutte di amore in maniera smielata».

Dopo la pandemia, non siamo diventati tutti più buoni?
«Nemmeno per sogno. Abbiamo avuto la possibilità di cambiare, ma non l’ abbiamo colta. Ci siamo tenuti i difetti di prima».

Lei si sente cambiato?
«Poco. Continuo a detestare l’ ipocrisia e il pressapochismo. Sono però rimasto colpito dal riavvicinamento che c’ è stato tra le generazioni: i giovani hanno capito che si muore, noi adulti abbiamo sentito il desiderio di accostarci a loro».

Come ha scelto gli attori?
«Li ho avuti in testa dall’ inizio e sono ancora stupefatto dal loro talento. Minaccioni è la nuova Franca Valeri, Greggio ti conquista con la sua comicità intessuta di umanità, Memphis è sempre autentico. Stella, poi, fa una coatta ed è la più cattiva del gruppo. Ma la perdoni».

Cosa pensa di aver imparato da suo padre e da suo fratello?
«Steno mi ha fatto capire che il cuore di ogni film è la scrittura, Carlo mi ha insegnato la semplicità e la rapidità. E ad amare gli attori. Il cinema, tutto sommato, è una cosa semplice. Ho provato ad esserlo anch’ io».

Come sta secondo, lei, il cinema italiano?
«Non ha identità. Vaga tra film d’ autore e commedie. Non ha il coraggio di confrontarsi con i generi. Si fanno dei bellissimi film popolari come quelli di Paolo Sorrentino e Matteo Garrone, qualche commedia. Ma il nostro cinema dovrebbe osare di più. E ha dimenticato i suoi punti di riferimento».

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