L’attore e comico Antonio Albanese parla de ‘I Topi’ e dell’emergenza coronavirus in una intervista rilasciata a ‘Il Corriere della Sera’
Albanese: “I Topi? Idea nata dall’arresto di un boss che mi fece ridere. Coronavirus? Sembra quasi fatto apposta…” L’attore e comico parla della fiction ‘Topi’, di cui è autore, protagonista e regista, in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
L’idea de «I Topi», la serie tv coprodotta da Rai Fiction e Wildside, gli è scaturita da un fatto vero.
«Una volta vidi in tv l’arresto di un mafioso latitante che, dopo otto mesi di chiusura in un bunker, sbucava fuori dal retro di un armadio e rivolgeva ai carabinieri uno sguardo quasi languido, che sembrava voler dire: “Grazie che mi avete trovato”. E sono sbottato a ridere come un pazzo».
La clausura obbligata del mafioso si confronta con la clausura obbligata dal coronavirus.
«Fa un po’ impressione, sembra quasi fatto apposta, dato che degli sceneggiatori stanno già scrivendo fiction sull’emergenza attuale. Io ho pensato a questa storia quattro anni fa, in tempi non sospetti, e gli arresti domiciliari dei miei personaggi sono un po’ più claustrofobici di quelli che stiamo vivendo per l’epidemia».
È una delle rare volte, però, in cui si racconta la mafia in chiave comica.
«Sì, perché basta! Non se ne può più di raccontarla in chiave drammatica con quei personaggi dagli sguardi duri, che somigliano ai pitbull, che ammazzano tutti e che, a volte, vengono rappresentati quasi come degli eroi. Io ho voluto proporre una versione diversa e descrivere queste persone ignoranti come bestie, con la loro stupidità e l’idiozia che hanno tatuata nel dna. Gente con un quoziente intellettivo più basso di quello di un topo e che fa ridere, invece di commuovere».
Di questi tempi è più difficile fare satira?
«La satira è sempre più difficile, non c’è paragone tra il provocare la risata o il pianto: sin da quando studiavo alla Paolo Grassi di Milano, ho capito che l’ironia è più faticosa, perché devi lavorare molto sul tuo corpo d’attore, su come ti muovi, non solo su quello che dici. Il mio sogno era diventare un comico e, in questa situazione di tristezza mondiale, stimolare un sorriso mi sembra quasi una missione».
Lei è nato in provincia di Lecco, ma la sua famiglia è siciliana. Ha ereditato da qualche familiare la vis comica?
«Ci siamo trasferiti al nord perché mio padre, per sfamarci, doveva trovare un lavoro che al sud non c’era. Lui era un uomo simpatico ma faceva l’operaio e si era dovuto operare di ernia quattro volte a causa della fatica. Quando gli dissi che mi ero iscritto alla scuola di teatro, rispose duro: “Cavoli tuoi!”. Che altro poteva dirmi? “Che bello, fai bene, figlio mio, così reciti i classici!”».
[…[ Come vive il Covid-19, con una riserva di ironia?
«No, su questo non si scherza. Ha colpito la mia regione che amo e chi ha dato tante opportunità. Non vanifichiamo il sacrificio che stiamo facendo tutti per uscire da questa tragedia epocale. Poi torneremo a vivere con più energia e senso civico».
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