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Spettacolo

Bon Jovi: “Italia, che ignoranza respingere migranti. Mio trisavolo era italiano, sulla Statua della Libertà c’è una frase…”

Bon Jovi sull’Italia a proposito di alcuni punti di vista sui migranti, l’artista statunitense dice la sua ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’

Bon Jovi: “Italia, che ignoranza respingere migranti. Mio trisavolo era italiano, sulla Statua della Libertà c’è una frase…”. L’artista statunitense ne parla ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’. Vi proponiamo alcuni passaggi dell’intervista.

JFK e Trump?
«Non voglio tirare pietre a quel tipo perché sarebbe troppo facile… JFK, come il fratello, voleva cambiare il mondo una volta per tutte e farci sognare. Trump è un autocrate».

[…] «Lower the Flag» fa riferimento alle stragi di massa…
«Anche in questo caso non voglio litigare ma fare una domanda: se accadesse nella tua famiglia? È nata dopo le stragi di El Paso e Dayton di quest’estate, una il giorno dopo l’altra. Sarebbe facile spegnere la tv e dimenticare, ma mi è rimasto qualcosa dentro».

«Blood in the Water» parla di un altro argomento che divide: i migranti e chi li vorrebbe rimandare indietro.
«I migranti che vengono in Italia o quelli che arrivano in America dal Messico cercano una vita migliore. Eppure sentiamo commenti ignoranti, “non me ne frega nulla, rimandiamoli indietro”. Sulla Statua della libertà c’è scritto: “datemi i vostri stanchi, i vostri poveri” e in passato l’America li ha adottati. Il mio trisavolo ha lasciato l’Italia per venire in America. Il New Jersey dove sono cresciuto sarebbe vuoto oggi se non fosse per gli italiani e gli irlandesi».

Bon Jovi: “Italia e Usa, che ignoranza sui migranti”

Si sta abituando a lavorare senza Sambora, chitarrista e suo partner storico?
«Sono al terzo album e a circa 180 concerti senza di lui. Non è stato facile. Ho scoperto di avere la forza di due uomini e la natura selvaggia di dieci. Ho scritto canzoni da solo anche prima, quello che mi è mancato è stata l’amicizia Mi ha aiutato vedere qui a Londra un concerto organizzato da Mick Fleetwood per omaggiare Peter Green, il vecchio compagno nei Fleetwood Mac. Con lui sul palco c’erano Pete Townshend che ha visto morire Moon e Entwistle, Gilmour che non parla più con Waters, Steven Tyler che ha avuto i suoi alti e bassi con Joe Perry: tutti sono passati da quello che ho vissuto io eppure li ho visti divertirsi ancora».

Vi ha dato fastidio non essere stati mai considerati cool dalla critica musicale?
«Oggi l’abbiamo superato e siamo rispettati, ma negli anni 80 c’è stato un momento in cui nella categoria hard rock dei Grammy vincevano i Jethro Tull e non “Slippery When Wet”, nostro disco da 20 milioni di copie… Per questo con “New Jersey” volli dimostrare cosa fossimo capaci di fare. Adesso sento di non dover dimostrare più nulla. Nei mesi scorsi ho invitato Springsteen e McCartney nel mio studio per fargli sentire “Lower the Flag”, così, voce e chitarra. Parlo di musica a tu per tu con i miei miti: ce l’abbiamo fatta».

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