Sergio Castellitto sulla moglie e non solo, l’attore si racconta a tutto tondo nella sua ospitata alla trasmissione ‘Io e te di notte’ di Pierluigi Diaco
Sergio Castellitto: “Mia moglie l’unica che mi fa pensare esista l’aldilà. L’arte mi ha salvato la vita”. L’attore si racconta a tutto tondo nella sua ospitata alla trasmissione ‘Io e te di notte’ di Pierluigi Diaco.
“Sono davvero emozionato, sai? Intanto, per questo regalo che mi hai fatto della ricostruzione della mia storia (ndr si riferisce alla scheda filmata del suo profilo), che non è soltanto una storia professionale ma è anche una storia intima, umana in qualche misura; e poi, per questa meravigliosa cosa che hai fatto vedere all’inizio della trasmissione (ndr si riferisce al video della canzone Monsters di James Blunt dedocata al padre malato). Io ti riconosco un coraggio abbastanza raro nella fruizione televisiva generale e generica. Tu fai una cosa molto inconsueta: chiudi gli occhi! Ed è molto interessante questo. Chiudi il contatto televisivo con la tele-visione, che è una cosa molto sorprendente e anche molto magnetica. E poi questa magnifica canzone, assolutamente da riascoltare, lascia senza parole”.
Sai, la vita è armonica… non è un caso che tu sia ospite in questa puntata. (…) Vorrei raccontare un aneddoto. Moltissimi anni fa in una pizzeria un oste mi ha regalato un piccolo coniglio. In seguito, ci trasferimmo in Toscana a casa della signora Nelli. In quella casa c’erano Sergio, sua moglie e uno dei suoi figli: Pietro. Abbiamo trascorso una giornata meravigliosa, e ho visto con quale premura e ironia tu ti relazionavi con Pietro… insomma, tu il papà lo fai! È un ruolo che conosci bene.
“Sì, lo faccio e lo faccio anche grazie a una madre straordinaria, che non è soltanto la madre che ho avuto io, ma anche la donna che ho sposato, Margaret. La nostra è una storia abbastanza unica. Siamo due artisti con una forte individualità. Ognuno ha preso un percorso e ha avuto anche la fortuna di avere successo: io nel mio mestiere di attore e poi di regista, e Margaret che è diventata la scrittrice che tutti sappiamo. Eppure non abbiamo mai rinunciato a questa umiltà dell’amore, a questa attenzione a quel fuoco che abbiamo acceso quando abbiamo cominciato a fare i figli – che poi sono venuti in quantità spropositata rispetto all’abitudine! – e che sono diventati il vero film, il vero libro che lei ha scritto e che io, forse, ho diretto e recitato”.
Sergio Castellitto si racconta: “Da padre ho imparato tante cose”
Da padre ho imparato una cosa importante.
“Questa sua presenza è stata la vera lezione, lezione che non impari mai fino in fondo. Un’altra cosa che ho imparato nella mia storia di padre è che non sei mai un padre soltanto: sei un padre a vent’anni, poi sei un padre a trenta, e a trent’anni sei nevrotico perché vuoi realizzarti nel tuo mestiere, vuoi raggiungere i tuoi risultati! Poi sei un padre a quaranta, sei un padre a cinquanta, e purtroppo pure un padre a sessanta per quello che mi riguarda, nel senso che cominci ad allontanare le cose, no? Anche fisicamente sei diverso. Giochi a pallone col tuo primo figlio, con l’ultimo non ce la fai a stargli dietro. Ecco, questo è il mestiere di padre”.
Hai citato prima la tua mamma. Vorrei far vedere una foto della tua mamma con tre dei tuoi figli, Pietro, Maria e Anna, non c’è Cesare il più piccolo. Che mamma è stata?
“Era una mamma che non mi ha mai detto ti amo, non mi ha mai detto ti voglio bene, non perché non me ne volesse ma perché non era nella sua cultura, nel suo costume di donna molto semplice, ma mi ha detto ogni giorno: “Hai mangiato? Hai fame?”. Quello era il suo modo di stare vicino ai figli, di amarli e così via”.
Sempre sulla mamma.
“Una delle cose di cui vado più fiero è che mia madre ha avuto il tempo di prendere in braccio tutti i miei figli… fino al liceo! Pietro quando usciva dal liceo non veniva a casa nostra, andava a casa sua, e mia madre gli cucinava delle cose di martedì, di mercoledì veramente imbarazzanti: l’amatriciana, etc… ogni tanto sorprendevo la faccenda raggiungendola a casa. Le chiedevo: “E Pietro?”. E lei: “Sta riposando!”. Ed io: “Come sta riposando? Deve fare i compiti!”. E lei: “Vabbè, ma ha mangiato la amatriciana…”. Capito? Straordinaria!”.
[…] Nelle beatitudini Evangeliche c’è quel passaggio meraviglioso: “Beati i miti”. La mitezza oggi è uno dei valori più rari e sconosciuti. Se non sbaglio deriva dal fatto che tu eri un bambino semplice e timido…
“Quasi tardo si potrebbe dire…Tra l’altro mia madre stessa me lo ricordava con molto affetto: “Eri un po’ tonto, stavi là!” Bastava mettergli una banana in mano e lui se ne stava per ore a mangiare questa banana. Hillman, che è stato un grande psicanalista, raccontava del grande torero spagnolo, Dominguín, il quale da bambino aveva una paura terribile di relazionarsi agli altri. Il modo di proteggersi era di nascondersi dietro la gonna della madre. Non lo sapeva ancora ma aveva incontrato il suo destino. Il futuro di quel grande torero sarebbe stato quello di fare il mestiere più coraggioso del mondo con, come si chiama, la mantilla? che era la gonna della madre. Ognuno deve incontrare un destino”.
Sergio Castellitto si racconta: “L’arte mi ha salvato la vita”
Questa tua caratteristica ti rende unico nel panorama cinematografico, anche nella comunicazione esterna. (…) Questa mitezza ti ha portato a sottrarti anche alla dittatura dei social. Io la trovo una caratteristica eccezionale del tuo lavoro.
“Una delle più grandi libertà che ho raggiunto è quella di non essermi instagramizzato, né tweetizzato, né facebookato. Per fortuna anche i miei figli sono abbastanza lontani da questo mondo, che io credo finirà. Il teatro sta lì da 4.000 anni come comunicazione… c’è ancora un fesso che esce di casa e cerca un parcheggio che non trova per andare a vedere un altro fesso sul palcoscenico che parla. Il cinema è quasi da dilettanti, sono 100 anni che stiamo facendo cinema, c’è tempo”.
Ancora sui social.
“Questa velocità della comunicazione, questo racchiudere l’emozione dentro poche righe, poche parole, io non credo che abbia un grande futuro. Io credo che ci sarà bisogno di tagliare molti alberi e di produrre ancora molta carta. Per questo bisogna piantarne altrettanti. Noi avremo bisogno di parlare di più, e di scrivere di più. La voce ha un odore mentre quello è un mondo inodore, digitalizzato, chirurgico quasi, sotto vetro. Tant’è che il mondo social riesce a comunicare più facilmente l’odio dell’amore. Ci hai fatto caso?”.
Sergio Castellitto sui social network “Un sistema destinato a finire”
Mi farebbe piacere che queste parole di Castellitto venissero fatte ascoltare agli adolescenti. Perché non è vero che gli adolescenti sono iconograficamente come ci vengono raccontati dai media. Non tutti sono schiavi di questa dittatura digitale. (…) Vorrei farti vedere un Italia che non c’è più… un Sergio Castellitto da adolescente…(ndr sul led appare un Cstellitto ragazzino)
“Mi fa piacere che i miei figli mi assomiglino…”.
Se potessi parlare al ragazzo che sei stato, che cosa gli diresti?
“Se penso al mondo dal quale sono stato esploso, credo di aver compiuto la mia vita come una piccola rivoluzione della mia esistenza. Venivo da un mondo molto semplice, una famiglia italiana di lavoratori, di persone che si alzavano la mattina e andavano a lavorare. Io stesso ho cominciato lavorando in un’azienda per due anni, quindi facendo tutt’altro. Poi sono stato folgorato… ma quale folgorato! In realtà, ogni adolescente, ogni giovane incontra il desiderio di spaccare un vetro, di cominciare un’avventura diversa da quella che sembra che la vita gli abbia in qualche misura apparecchiato. In quegli anni potevi incontrare la violenza della lotta armata, potevi incontrare tante strade… io ho incontrato l’arte, e l’arte mi ha salvato la vita. Ma non mi è bastato incontrarla, è stato necessario esserne delusi. Questo è un mestiere pieno di privilegi. Non ti fidare mai degli attori che si lamentano, non ti fidare! Questo è un mestiere straordinario, un gioco da ragazzi”.
Una delle cose che mi piacciono di te è che hai una vita altrove
“Per me il massimo della mondanità è stare sul divano di casa nostra a litigare coi figli”.
Mi mandate in onda la foto di John Lennon, il bassotto di Sergio, Margaret e i loro figli?
“Ma lo sai che volevo portarlo, ma poi ho detto forse non è il caso. Si chiama John Lennon perché è nato il 9 ottobre, il giorno in cui è nato John Lennon. L’allevatrice che ce lo diede lo battezzò così e noi non abbiamo mai osato cambiarlo… rigorosamente, anche al parco quando si allontana, non abbreviamo mai: “John Lennon!”. E la gente si gira a guardare…”.
Il rapporto che lega Sergio e Margaret è quasi un atto unico…
“Qui ha appena partorito Cesare. È bella, eh?”
Sergio Castellitto: “Mia moglie e una delle cose che più mi ha emozionato nella vita”
Come vi siete conosciuti?
“Prima di diventare una scrittrice era un’attrice di teatro, una straordinaria promessa del teatro. Lei recitava Le tre sorelle di Cechov al teatro di Genova, ed io fui chiamato l’anno successivo per sostituire un attore che era andato via. Facevo il barone Tuzenbach, che nella storia è quello che si innamora di Irina. Ci conoscemmo là! E come nelle migliori tradizioni il nostro rapporto cominciò con un conflitto. In genere, un attore nuovo, che entra dentro una messa in scena già realizzata, vuole dimostrare qualcosa al regista. Io volevo dimostrare che sapevo e potevo proporre cose diverse da quelle che erano già state stabilite. E lei, a un mio movimento inconsueto rispetto alla messa in scena che lei conosceva, disse: “Ma l’altro non faceva come questo!”. Non mi parve una immediata simpatia… però non lo fece per presunzione, era il suo modo! Questa è una delle cose che ho amato di più di Margaret. Pensa che io la chiamavo Dersu Uzala, che è un famoso film di Kurosawa. Dersu Uzala è un personaggio che vive nel bosco e non si fa toccare da nessuno, non parla con nessuno, completamente selvaggia. Questa è stata una delle cose che mi ha più appassionato di lei, questa altera distanza…”
Anche una certa rettitudine morale.
“Enorme! È la cosa che ha insegnato a tutti, a me e ai suoi figli come prima cosa. Pensa che pochi giorni fa è successa una delle cose che più mi emoziona nella vita, ossia quando incontri le persone che ami per caso. Ognuno di noi era uscito per conto proprio e ci siamo incontrati per caso. Io l’ho vista e ah! (ndr Castellitto esprime stupore e emozione). Non so se vi capita mai, ma vi assicuro che è un’emozione unica! Improvvisamente riconosci un passo di spalle, un cappotto, e pensi: “Ma quella cammina come… ma è lei, è lei!”. Allora è come vederla per la prima volta”.
Questa è la dichiarazione d’amore più insolita che abbia mai ascoltato… è bellissima!
“Tant’è che le ho detto: “Sei l’unica persona al mondo che quando la guardo mi fa pensare che esista l’aldilà!”.
Vabbè, ragazzi, qua stiamo volando altissimo!
“[…] Ancora non riesco a capire come sull’altare abbia detto sì, perché in genere la prima parola che dice è no!
Io ci ho già provato in passato e mi ha detto di no. Però, hai visto mai… Senti, le hai mai dedicato una canzone?
“Beh, la canzone del nostro amore è Luci a San Siro di Roberto Vecchioni, canzone che le cantavo in maniera strampalata…”.
Sergii Castellitto: “Nel mio lavoro ho ragionato come uno spettatore”
“La penso esattamente come molti anni fa. Credo che questa sia stata anche la scommessa vinta. Ho sempre pensato di voler fare le cose che mi sarebbe piaciuto andare a vedere. Ho ragionato veramente come uno spettatore. C’è sempre stato da parte nostra, di un certo cinema d’autore, un anteporre il proprio gusto, il proprio messaggio a questa cosa di porgere l’opera. Io e Margaret crediamo in questo, crediamo nell’opera! E l’opera è al servizio della platea. Speriamo di persone intelligenti, ma non possiamo non accettare il fatto che in quel mondo, in quella platea, ci siano soltanto persone sensibili. Ma il tuo mestiere è quello di raccontare una storia. Ti racconto una storia e nascondo dentro la storia, dentro la pancia di quel Cavallo di Troia che racconto, la mia visione del mondo. Recitare per me ormai non è neanche più recitare. Ti racconto una storia attraverso il mio corpo, i miei silenzi, le mie pause.
Ho fatto vedere questo estratto per dimostrare che si possono raccontare in tv anche cose molto private in maniera naturale…
“In maniera autentica! Nietzsche diceva che l’attore è la scimmia ideale, ed è preposta soltanto al lazzo, all’urlo, al pianto, al riso, all’emozione da consegnare alla platea. Avendo avuto la fortuna e il privilegio di poter entrare nella pancia del cavallo di tanti personaggi diversi, ho imparato a essere abbastanza essenziale nella vita, di non menarmela tanto”.
La scena in cui il tuo personaggio interviene in maniera veemente fmdalla platea, ha anticipato molti anni prima una rabbia che poi ha avuto un sapore esclusivamente politico. Lì era un tratto culturale…
“Mentre lo vedevo pensavo che è la pancia degli italiani. Poi può essere spostata a destra, a sinistra, al centro, ma è la pancia degli italiani, e della pancia degli italiani bisogna sempre avere rispetto! L’intelligenza non risiede per forza nella testa, risiede molto spesso nella pancia”.
L’espressione pancia degli italiani viene usata molto spesso per delegittimare l’umore del popolo che vota di qua e di là. Tu hai detto la cosa più semplice e sensata che si possa dire, ossia che la pancia degli italiani, quel senso di rabbia e di abbandono, va sempre rispettato.
“Anche perché spesso è vuota la pancia degli italiani!”.
Castellitto ascolta la voce di Ettora Scola.
“Con Ettore ho fatto due film. Ne La famiglia, che è stato quasi un esordio per me, interpretavo un piccolo personaggio, che però è rimasto leggendario nella mia vita e nella mia carriera per quella bellissima famosa scena che recitai con Vittorio Gassman. Io facevo il nipote che andava a trovare lui, vecchio e abbandonato, in questa grande casa. Poi, Concorrenza sleale con Diego Abatantuono. E poi feci un episodio di una serie, Piazza Navona”.
Sergio Castellitto: “Mia moglie l’unica che mi fa pensare esista l’aldilà. L’arte mi ha salvato la vita”
Sempre su Ettore Scola.
“Adesso ho finito di girare un film tratto da un soggetto che lui ha scritto e che poi Margaret ha riscritto rielaborandolo. È venuta fuori una storia molto toccante, molto emozionante. Vedi, mentre parlo faccio le stesse appoggiature di Ettore: “Molto toccante!”. È un film un po’ fuori dal tempo, è una storia un po’ speciale, molto particolare di cui sono molto fiero… lo siamo sia io che Margaret. Si chiama Il materiale emotivo. Siamo tutti materiale emotivo. Noi siamo materiale emotivo, che è un ossimoro…”
Quello che in filosofia è chiamato materiale umano. Maritain ne ha parlato a lungo e ne ha scritto.
“Esattamente! È questa acqua in continuo movimento, questa pozza di acqua limpida dove tu senti che per fortuna il fango si posa sul fondo, ma poi non è fango, è il segreto, il non detto, il non realizzato. C’è quel detto: “Come puoi guardare il fondo dell’acqua se non smetti di muoverne la superficie””.
Il conduttore dedica a Castellitto ‘Un senso’, brano di Vasco Rossi
“Vasco lesse Non ti muovere e disse: “Voglio fare una canzone per questo film”. E scrisse questa canzone. Credo che raramente una canzone abbia avuto così senso per spiegare la storia di Non ti muovere, una canzone che nasce da una negazione: un senso non c’è, eppure lo cerco tutta la vita”.
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