Serena Dandini radical chic? La conduttrice non ci sta e rispedisce al mittente in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’
Serena Dandini: “Radical chic? Da mio padre ho ereditato solo una cosa. In RAI grazie alla prof, ma ho un sospetto…”. La conduttrice conduttrice non ci sta e rispedisce al mittente in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi
I suoi programmi hanno sempre un carattere politico. Le è mai stato chiesto di candidarsi?
«Eccome no! Lo chiedono a tutti ormai, ma io non ho mai accettato, non ho proprio quella vocazione».
Però avendo ascendenze nobiliari, è stata anche additata come la classica radical chic.
«Che strazio! Da mio padre non ho ereditato nulla, se non il suo senso dell’umorismo. Poi diciamo la verità, la nobiltà papalina cui lui apparteneva non era poi così elevata, nemmeno tanto snob… semmai, papà somigliava a una specie di Marchese del Grillo…con l’ironia di Sordi».
Se non avesse fatto la conduttrice e autrice televisiva, cosa avrebbe voluto fare?
«Non sono figlia d’arte e volevo insegnare all’università. Avevo una mitica professoressa alla Sapienza di letteratura angloamericana e sognavo di diventarne, un giorno, l’assistente».
Cosa le fece cambiare idea?
«A quel tempo la Rai inviava ai professori universitari richieste di segnalazioni di giovani con doti artistiche. Fu proprio la mia professoressa a segnalarmi. Gliene sono grata, ma mi sorge il sospetto che non mi volesse come assistente…».
E dalla Rai fu anche cacciata…
«Era il periodo di “Parla con me” e lì per lì il mancato rinnovo del contratto fu duro da accettare, però questo episodio mi ha dato forza: il successo ti fa sedere, invece le contrarietà ti stimolano, ti arricchiscono. Ora non dico che ringrazio Silvio Berlusconi per aver voluto la mia cacciata, ma col senno di poi lo vedo come un passaggio positivo. D’altronde, in questa Italietta, il vizio dei politici che decidono cosa deve o non deve andare in onda, continua tuttora».
Non solo tv, anche teatro…
«È stato la mia vera università. Ho diretto per dieci anni l’Ambra Jovinelli, che era chiuso da tanto tempo e si trovava vicino alla Stazione Termini, un luogo difficile. Poi mi sono cimentata come autrice con “Ferite a morte”: monologhi di donne vittime di violenza».
Con sua figlia Adele, a sua volta regista, ha mai pensato a progetti comuni?
«È molto brava e più raffinata di me, io a volte sono terra terra. Per ora teniamo le strade separate».
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