Paolo Ruffini parla del suo nuovo programma La Pupa e il secchione, e non solo, in una intervista rilasciata ai microfoni di Vanity Fair
Paolo Ruffini: “C’è una parte dello star-system al quale non piaccio. La Pupa e il secchione? Trasmissione figa perché…”. Il conduttore parla del suo nuovo programma La Pupa e il secchione e Viceversa, in onda dal 7 gennaio in prima serata su Italia 1. Ruffini è anche autore della trasmissione che torna nove anni dopo la prima edizione condotta da Enrico Papi. Di seguito vi proponiamo alcuni passaggi dell’intervista rilasciata ai microfoni di Vanity Fair.
Non più lo studio e il pubblico, ma una villa nella quale i protagonisti, le pupe e i secchioni, ma anche i pupi e le secchione, si muoveranno in una sorta di «docu-reality-game» in grado di immergere lo spettatore nelle dinamiche culturali e sociali tenute vive dai concorrenti.
«Oltre alle bellissime ragazze in costume, che ci stanno, è un programma che racconta anche tanta tenerezza. Ci saranno, per esempio, prove con dei bambini e con degli anziani […] È una trasmissione molto figa, diciamolo. Non dico che sia alta, ma che sfiora il tema della cultura attraverso un’angolazione nuova, diversa».
In un’intervista a TvBlog di qualche anno fa, Enrico Papi diceva che rifare La Pupa e il Secchione senza di lui sarebbe stato un errore perché è «un programma che ho inventato io».
«Le rispondo pensando a un altro programma, che si chiama La Corrida, che evoca proprio nel nome un certo conduttore, ma che è stato rifatto anche da altri. Io Corrado Mantoni ce l’ho proprio tatuato, ma non bisogna dimenticare che spesso il formato è più forte di chi lo conduce».
Quest’anno, per la prima volta, ci saranno anche dei pupi: lei si sente più pupo o più secchione?
«Penso che la cultura si possa tradurre in curiosità: ai tempi della scuola ero un ragazzo molto vivace, un curiosone, un match perfetto tra il pupo e il secchione. Oggi, invece, mi sento più secchione, ma non è che ci voglia tanto: basta che parli di Walter Chiari e conosci Sergio Leone e il gioco è fatto. Credo che la cultura oggi sia diventata qualcos’altro: le pupe sono delle influencer e i secchioni sono quelli che sanno dove si trova Taranto, ma che ignorano chi sia Chiara Ferragni e come si usino i filtri di Instagram».
Infatti, un’accusa che spesso si rivolge al programma era quella di promuovere la «non-cultura»: lei cosa ne pensa?
«È una trasmissione leggera e il dibattito culturale che ne segue è interessante: l’inconsapevolezza e l’incultura dei protagonisti non è votata a fini perniciosi: non credo che non sapere delle cose ti renda meno intelligente. Personalmente preferisco stare con persone che ostentano di meno ma che, magari, sono più sensibili e mostrano un’intelligenza emotiva migliore di chi se la crede un po’ di più».
Lei a scuola, forse, questo lo ha un po’ patito: al primo Ginnasio è stato anche bocciato. Rifarebbe il liceo classico tornando indietro?
«Assolutamente sì, ma studiando di più. Non per criticare il sistema pedagogico italiano, ma se qualcuno ci spiegasse che studiare L’Infinito di Leopardi potrebbe aiutarci a fare meglio l’amore, a essere più seducenti, a lavorare meglio e a guadagnare più soldi forse uno lo farebbe più volentieri. Gli studenti, invece, sono abituati a studiare un determinato argomento senza capire il perché: è questo il gap educativo. I ragazzi di oggi, poi, rischiano di essere confusi perché credono che i social siano sociali quando sono proprio l’opposto. Socialità vuol dire abbracciarsi, andare a teatro, mangiare, ubriacarsi».
Lei di seguaci sui social ne ha tanti (quasi 600mila su Instagram): come si può fare per indirizzare meglio i ragazzi?
«Iniziando a fargli capire che nella vita non bisogna ridere sulle persone, ma con le persone. È una cosa che faccio anche nella Pupa e il Secchione: non prendo mai in giro qualcuno, ma prendo quello strafalcione per farlo diventare un’occasione di abbraccio e di carezza. Che è un po’ quello che faceva Corrado che si vedeva davanti la gente che faceva le scoregge sotto le ascelle, ma che non la giudicava mai. È questo il problema: siamo sempre macchiati dal giudizio. È inutile, poi, parlare di bullismo e di cyberbullismo quando sei il primo a demolire una persona che non ha gli strumenti per difendersi».
Paolo Ruffini: “La Pupa e il secchione trasmissione figa…”
Lei, quando ha condotto la cerimonia dei David di Donatello nel 2014, un po’ di bullismo lo ha patito sulla sua pelle. Ci è rimasto male per tutte quelle critiche?
«Il bullismo lo subiamo tutti ma, allo stesso tempo, credo che non si debba vergognare chi viene preso in giro, ma chi prende in giro. Oggi un altro poco si vergogna chi subisce il furto e non chi ruba: ai David non mi sono sentito bullizzato perché non credo che fosse un argomento che meritasse così tanta attenzione».
Di recente ha definito la felicità come «pensare a cose belle senza farlo apposta»: oggi è felice?
«È una domandona. Diciamo che sono in uno stato di evoluzione: non è un momento semplice, quando ti lasci sotto Natale è sempre doloroso, ma sono sicuro che il dolore sia una tappa fondamentale della felicità: quando una donna partorisce, piange, e quello è il momento più bello della sua vita. Il dolore non va combattuto, ma merita di essere vissuto».
Cos’è il dolore per lei?
«Un amico vestito un po’ peggio che tieni fuori dalla porta perché hai paura che ti dia una notizia che non vuoi ascoltare ma che, se lo fai entrare, può diventare un confidente più sincero di quanto non potessi pensare».
Lei è un nozionista incompreso: non ha mai sofferto per il fatto di non essere riconosciuto per questa sua profondità?
«Soffrire no, c’è semplicemente una parte dello star-system al quale non sono poi così avvezzo, ma va benissimo così. Se uno mi dice che sono un buffone o un pagliaccio non mi offendo mica: oggi le torte in faccia non se le vuole prendere più nessuno perché nessuno vuole fare il clown. Io, invece, me le prendo volentieri non perché sono stupido, ma perché continuo a credere che sia un mestiere nobile».
Un mestiere nobile che le ha permesso di costruire una carriera stabile al cinema e in televisione.
«Quando realizzo un prodotto non lo faccio per compiacere Twitter o la stampa, ma per la gente. Adesso, per esempio, farò La Pupa e il Secchione e so già che quando andrò al Cardagallo Est o all’Arda Ovest, gli autogrill dove vado sempre, mi faranno i complimenti. Faccio prodotti da autogrill, hard-pop: sono quello dei cinepanettoni e di Colorado, tutti progetti che agli altri spaventano e che ci pensano molto se fare o meno».
Però ha fatto anche dei film con Paolo Virzì…
«Li ho fatti qualche anno fa. Non so se oggi mi richiamerebbe (ride, ndr)».
Qualcosa di molto pop che le manca da realizzare?
«Un bel premio che può essere un Oscar, ma anche vincere dei pesci rossi al luna park, mettendo il cerchietto intorno alla papera. Ma forse pure un David, ci mancherebbe altro. Si cresce nella vita: ho compiuto 41 anni e, se a 30 anni fossi stato già un quarantenne, sa che palle. Sono orgoglioso di tutte le mie cazzate: quando poi ci ripensi c’è ancora più gusto e capisci che è più bello crescere».
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