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Spettacolo

Gabriel Garko si racconta: “Faccio il lavoro che desideravo da bambino. Sono sparito 3 anni per un motivo”

Gabriel Garko si racconta parlando della sua vita privata e professionale in una intervista rilasciata ai microfoni de ‘Il Corriere della Sera’

Gabriel Garko si racconta: “Faccio il lavoro che desideravo da bambino. Sono sparito 3 anni per un motivo”. L’ attore parla a tutto tondo della sua vita privata e professionale in una intervista rilasciata ai microfoni della collega Francesca Angeleri per ‘Il Corriere della Sera’.

«Scrivere un libro è stata una decisione ponderata, non è certo stato un gioco farlo. Eppure, ridendo e scherzando, senza quasi rendermene conto, è nato».

Meglio scrivere o recitare?
«Questo libro è una bella soddisfazione. Mi riposiziona. Ci ho lavorato a quattro mani con un writing coach, perché scrivere è un mestiere, non ci si improvvisa. Ma le pagine sono nate di mio pugno perché lui, che è anche psicologo, insisteva che lo stile dovesse essere il mio. È stato difficile decidere cosa inserire o meno. Alla fine, racconto la mia vita professionale. Di quella personale forse parlerò più avanti».

È un po’ di tempo che non la si vede in video.
«Mi sono preso tre anni sabbatici. Sono sparito. Avevo bisogno di spazio per decidere e vedere come stavo. La mia è una professione dove viaggi velocissimo e più hai successo più la velocità aumenta. Prima sei su una strada asfaltata e dritta, poi all’improvviso ti trovi in mezzo una cassetta della frutta».

È stanco?
«Faccio il lavoro che amo e che ho desiderato fin da bambino. Adoro stare sul set o sul palco. Ad andarmi stretto è stato il jet set. Ci sono momenti in cui vorresti scomparire come Harry Potter. Come quelle giornate in cui stai malissimo e incontri la vecchina che ti dice: “Me la immaginavo più bello”. Essere sempre al top non è facile. Se la vecchina non ti riconoscesse, però, sarebbe peggio».

È stato in analisi?
«Si certo. L’analisi è parlare con se stessi senza raccontarsi palle. Molta gente ha paura di mettersi a nudo».

È vero che alcuni personaggi «rubano» l’anima?
«Accade più spesso con il ruolo di un film che con quello di uno sceneggiato. Nel secondo caso, il rischio è che quella parte finisca con l’assomigliare sempre più a te. Il personaggio che mi ha fatto soffrire di più è anche quello che ho amato di più: quello di Ernesto nelle Fate Ignoranti di Özpetek. Avevo talmente paura di non essere all’altezza di farlo che mi sono quasi annientato, annullato per entrarci dentro. Ogni giorno pensavo che dovevo morire. È stato destabilizzante, ma sono felicissimo di essere in quel film».

Essere molto belli è più una fortuna o un problema?
«Bisognerebbe porre questa domanda non tanti ai belli quanto a quelli che li giudicano. La bellezza è solo un incastro chimico. Però vieni giudicato in modo diverso da tutti: “sei bello quindi…”. Non conto i provini in cui mi sono sentito dire la frase: “Sei troppo bello per questo ruolo”. Ormai ho fatto pace col cervello e non ci sto più male. Parecchie volte ci sono ragazzi che mi chiedono un selfie, spesso prendo il loro telefono per scattare e mi rendo conto che hanno quasi tutti il filtro bellezza. Poi magari sono quelli che criticano per primi. La bellezza è un involucro. È un vaso, dipende da come lo riempi».

Torino è ancora casa sua?
«Torino è la mia culla, io qui ritorno bambino. Vivo lontano da talmente tanto tempo che quando vengo ho solo ricordi belli: i miei compagni, le scuole che frequentavo, le rincorse per prendere il treno. Una volta era più provinciale, oggi è aperta. È molto cambiata. Amo la sua regalità. Quando da giovane prendevo il treno per andare a Roma era un viaggio vero, non c’era l’alta velocità. Partivi la sera e viaggiavi una notte intera. Fare qualcosa era faticoso e quando ce la facevi, saltavi di gioia. C’erano distanze reali che vorrei ritrovare».

In che senso?
«In qualche modo internet ha fatto perdere il valore dei sentimenti tra le persone. Un tempo le scale si salivano un gradino alla volta. La popolarità improvvisa è pericolosissima: arrivi in cima in un botto e il giorno dopo sei devastato. E nessuno ti viene a salvare».

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