Roberto D’Agostino ha rilasciato una intervista ai microfoni del settimanale ‘Oggi’. Vi proponiamo alcuni passaggi evidenziati da BreveNews.Com:
“Non me lo sarei mai aspettato da ragazzo di poter arrivare a tenere una lezione a Oxford. La testa mi gira come un frullatore: sto limando la relazione nei minimi dettagli, è un impegno forte. E sì, non nascondo di avere un po’ di paura”.
D’Agostino spaventato non sembra reale.
“Sbaglia: ci sono due forze motrici fondamentali nella vita: la paura e l’amore. Purtroppo non sono più abbastanza giovane per sapere tutto… Per me, superata la soglia dei settant’anni, questa esperienza rappresenta un esame che un poco mi inquieta. Ma so benissimo che la vita si restringe o si espande in proporzione al nostro coraggio”.
Raramente tira fuori questa fragilità in pubblico.
“Non si tratta di fragilità, ma di fatica e responsabilità. Non voglio deludere chi verrà ad ascoltarmi a Oxford”.
Vuole farmi credere che in lei non abitano fragilità?
“L’unica cosa che latita in me è il tempo: credo di non averne mai abbastanza. Quello che ho a disposizione non basta mai. Perché il tempo è uno stronzo: passa e manco ti saluta”.
In questa corsa contro il tempo, trova modo di pensare alla morte? La teme?
“Certo che mi strazia, se penso che lascerò mio figlio Rocco e mia moglie Anna. Ma ho sempre amato quella frase di Oscar Wilde che dice: “Sogna come se dovessi vivere per sempre; vivi come se dovessi morire oggi”. E poi, con la nuova civiltà digitale, tra pc e smartphone, siamo in contatto con la morte dalla mattina alla sera, ogni giorno vediamo vite spezzate dalla casualità o da motivi assurdi, come quelli che hanno spinto alcuni terroristi a far saltare in aria centinaia di persone in Sri Lanka. L’aspetto più brutto che la morte porta con se è bloccarti i piani, i sogni e i progetti a lungo termine: spesso arriva come un fulmine a ciel sereno, ti spazza via in un batter d’occhio”.
I successi professionali sono utili a esorcizzare il dramma di questo epilogo?
“Il lavoro è la nostra dignità, ma soprattutto la nostra identità: non serve solo per campare e regalarci l’illusione di essere realizzati. Ma ciò che conta davvero è il privato. Il vero successo è quello personale. C’è tanta gente che, pur avendo avuto affermazioni clamorose, soldi e salamelecchi, si è ritrovata sola e con una vita disgraziata.”
Lei è soddisfatto della vita che ha scelto?
“Ne ho vissute tante: bancario, disc-jockey, giornalista, scrittore, e poi radio, televisione, cinema, internet. All’appuntamento più importante della giornata, però, – prima di dormire, quando ognuno di noi chiude gli occhi e si guarda dentro e fa i conti con se stesso – ci arrivo consapevole di aver fatto tanti errori, ma conscio di fare una vita che mi piace e mi appassiona ancora”.
È diventato l’uomo che sognava di essere da ragazzino?
“No, assolutamente. A 50 anni sono stato investito, travolto, sedotto come tutti da questa nuova civiltà digitale che nessuno poteva prevedere. Parliamoci chiaro: siamo alla vigilia di innovazioni superiori a quelle che la nostra immaginazione può tentare di descrivere. Nei prossimi vent’anni il mondo cambierà più di quanto sia cambiato negli ultimi 300. Internet ha rottamato il mondo modificando le aspirazioni e le ambizioni di molti di noi”.
Ed è un male o un bene?
“E’ semplicemente diverso. Quella che stiamo vivendo non è solo una rivoluzione tecnologica fatta di nuovi dispositivi, ma è anche il risultato di una ribellione mentale contro il ‘900, un secolo di disastri e di guerre. Negli anni ‘70 si combatteva in nome di una comunità, oggi lottiamo via social per affermare noi stessi, il nostro “marchio”, la nostra identità. Siamo passati dal Noi all’Io con una velocità impressionante: camminiamo con il telefono in mano, lo controlliamo sempre, è ormai una estensione della mente e del corpo. Così è. E non possiamo farci nulla”.
Con Dagospia ha colto prima di tanti questo mutamento. Riesce ancora a conservare un lato umano?
“Anche se mi risulta difficile parlare del mio mondo interiore, sono una persona passionale in tutto quello che faccio. A partire dalla mia famiglia: è un sentimento naturale che viene nutrito dalla comune curiosità nei confronti di ciò che si muove intorno a noi: dal cinema all’arte, dai pettegolezzi al cazzeggio, dai libri alle serie tv”.
Vuole dirmi che lei e sua moglie, oltre che amanti, siete anche molto complici?
“Non si sposa un corpo ma una testa. Stare con una persona significa saper condividere, saper camminare insieme, tanto è vero che di solito, quando una storia finisce, il motivo è da imputare alla volontà di entrambi – o di uno dei due – di voler percorrere un’altra strada. Con Anna siamo complici: uno fa il colpo, l’altro fa il palo. E viceversa “.
Chi è il più critico verso l’altro?
“Siamo due brontoloni, ma lo rivendico. In una coppia c’è sempre bisogno di uno che ti dice con franchezza: ‘Sei uno stronzo’. E io delle critiche di Anna mi fido. In quest’epoca di narcisismo compulsivo, siamo talmente schiavi del nostro ego che avere una persona speciale attraverso la quale guardarsi allo specchio è un vero dono. Anche perché spesso ci guardiamo allo specchio, ma non ci vediamo”.
D’Agostino chiede mai “scusa”?
“Ma certo. Chiedere scusa è il massimo del coraggio per un uomo. Nessuno di noi è perfetto. Dagospia mica è Mosè alle prese con i 10 Comandamenti: si sbaglia, si ammette l’errore”.
Il suo brand la tradisce. Lei è un uomo più dolce di quello che sembra.
“Sarà, ma le chiedo scusa: adesso non ho più voglia di parlare di queste fregnacce”.
Molti dei suoi detrattori pensano che sia una persona cattiva.
“Confondono la cattiveria con la tenacia. Mi ritengo testardo e insistente, ma non ho tempo purtroppo di essere pure cattivo”.
Dagospia è più tenace o più sincero?
“Non esiste la sincerità: la verità è solo un punto di vista. Per Dagospia contano le notizie. Non guardiamo in faccia a nessuno, non facciamo sconti. Osiamo molto, come nessuno fa. E proprio per questo possiamo anche permetterci il lusso, ogni tanto, di sbagliare”.
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