Vittorio Sgarbi si confessa in una intervista rilasciata ai microfoni di “Off”, inserto de ‘Il Giornale’:
È un grande comunicatore. È una cosa che ha imparato o è innata?
“L’innato esiste poco. Chiunque abbia una dote innata la deve coltivare e nel mio caso, di innato, c’è probabilmente la voce. Il tono della voce è importante per essere un bravo comunicatore, è una delle ragioni principali della mia capacità seduttiva. Poi bisogna avere i contenuti. Per educare, per parlare in maniera chiara, devi capire chi ti ascolta. C’è chi parla come se davanti non avesse nessuno. Come se, di quello che dice, non importasse niente a nessuno e rispettosamente fingono di essere interessati. Ecco, in questo caso, il momento più erotico è il momento dell’applauso. Si, perchè gli interlocutori pensano “finalmente ha finito” e quanto più sono contenti che abbia finito, più applaudono. Io guardo sempre chi c’è in sala, cerco di coinvolgere tutti e credo sia un’abilità”.
Quando e come ha deciso che l’arte sarebbe stata una costante nella sua vita?
“Nel 1970. Giugno. Prima frequentavo il liceo e la mia professoressa di storia dell’arte era noiosa. Io, di conseguenza, odiavo la storia dell’arte, totalmente. Era l’unica materia che non mi appassionava. Anche per i libri in bianco e nero e per il fatto che la professoressa parlava sempre di Giovanni Pisano. Che di conseguenza odiavo. La cosa determinanate che ha fatto della storia dell’arte, il mio lavoro è stato l’incontro all’università con il professore Arcangeli, molto appassionante. Da qui sono arrivato alla convinzione che la vita non sia fatta di regole, norme e riforme, ma di persone. Una buona scuola e un bravo insegnante. Una cattiva legge con un buon giudice diventa buona. Una buona legge con un cattivo giudice diventa cattiva. Io per questo sono un individualista assoluto, contro ogni regola contro ogni legge”.
Lei colleziona opere d’arte.
“Compro ciò che è conveniente, nel senso che è conveniente che io ce l’abbia. Se trovassi un Picasso a 10 milioni di dollari non lo comprerei. Però se lo trovassi a 500 euro, sicuramente sì. Sinceramente è difficile che compri autori contemporanei. Io non compro mai una giacca o delle scarpe, queste cose me le faccio regalare. Non compro quello che esiste, ma tutto quello che non esiste. Dov’è in questo momento un dipinto di Tiziano? Voglio quello che non so che c’è. Io non vado a cercare quello che voglio ma quello che trovo. Girando antiquari, gallerie, luoghi e vedo una cosa che non mi aspettavo che ci fosse, la voglio”.
L’Italia è uno dei più grandi cantieri di opere d’ arte, ma storicamente siamo anche produttori di oscenità.
“Intanto occorre ripartire le epoche. Ci sono epoche in cui le cose prodotte erano prodotte da pochi per pochi, o da molti per pochi. E quindi non rientravano in contesti di necessità materiali, che hanno condotto in età democratica a produrre molto e tutto per molti. Questa necessità indotta ha determinato una serie di brutture”.
Gli street artist sono diventati delle vere celebrità dell’arte. È d’accordo?
“Io ne sono parte in causa. Quando ero assessore a Milano ho legittimato la street art, dando uno spazio con l’idea di far farlo. Ma non in maniera arbitraria e illegale. Tutto sommato però, questo attutisce la creatività, perchè il bello dello street artist è che non risponde alle regole. Di solito si sceglie il muro che può soddisfare la sua arte. Può darsi che quel muro venga migliorato, così come imbruttito. Occorre, quindi, avere una norma, che stabilisca i casi in cui verrà abbellito. Ma se l’edificio ha trecento anni, un suo intervento potrebbe rovinarlo. È la differenza che c’è tra un taglio di Fontana, che è una tela tagliata, e un dipinto di Caravaggio, su cui si faccia un taglio. Quello che ha una peculiarità storica non deve essere violato. Bisognerebbe allora normizzare, che si possa intervenire soltanto su muri che non abbiano pregio storico”.
Cosa cambierebbe della sua vita?
“Non voglio cambiare niente”.
Aggiungi Commento