Elisa si racconta a Vanity Fair:
La cantautrice Elisa ha pubblicato a fine ottobre scorso il suo ultimo disco “Diari aperti”. A metà marzo inizierà un lungo tour nei teatri, poi troveremo la sua voce nel Dumbo di Tim Burton, di cui canta il tema Baby Mine.
«Dumbo lo guardavo da bambina, sul divano con mia mamma. Non ci facevamo mancare niente sul fronte sofferenza: quello, Bambi. Ma Dumbo mi devastava più di ogni altro cartone, perché quell’elefantino è sempre stato della mia tribù, un mio parente. So che cosa significa essere presi in giro, derisi: è successo anche a me. Perché ero troppo piccola e sempre troppo emotiva. Ma non sento questa esperienza come una menomazione, anzi mi pare una forza. Mentre le vivi sono tremende, ma poi capisci che le sofferenze sono motori che ti fanno crescere. Non ci si deve preoccupare di chi viene discriminato, ma di chi discrimina. Perché sono questi ultimi a rimanere piccoli per sempre, mentre gli altri diventano grandi».
Lei da quando è diventata grande?
«Dalla nascita dei miei bambini, Emma e Sebastian. Mi hanno dato tante spinte, mi hanno resa coraggiosa e forte, mi hanno fatto fare i conti con la realtà e il tempo che passa. Mi hanno anche tolto qualcosa: l’incoscienza. Prima ero una persona totalmente romantica e per aria. Mi dispiace non esserlo più, ma sono contenta di esserlo stata. Aver conosciuto l’incoscienza fa di me, credo, una mamma e una persona tollerante verso tutti gli incoscienti del mondo».
Trova ancora pezzi di romanticismo, qua e là?
«Sempre. Soprattutto nell’incertezza: non mi piace sapere cosa accadrà, programmare. Non devo mai sapere che abiterò qui per sempre, farò questo per tutta la vita. Nei miei cambiamenti trascino tutti: mio marito Andrea, che è l’opposto di me, i miei figli che adorano il mio casino. Ogni tanto gli faccio fare un twist».
Mi faccia un esempio di twist.
«Organizzare lunghi tour all’estero: li metto tutti sullo sleeper bus e partiamo. Facciamo una vita da nomadi perché ho bisogno di continuare a sperimentare. È una ricerca non solo artistica, ma umana». […]
Lì, davanti a tutti, ci sta bene?
«Benissimo. Essere lì, con il pubblico, è un momento speciale, la mia comfort zone. È uno scambio e io ricevo tantissimo dalle persone. Non vedo l’ora di iniziare il tour perché so che cosa proverò: qualcosa di fisico, primordiale, per nulla cerebrale. È abbandono: parla solo la musica».
Estratto dal servizio di copertina di Vanity Fair in edicola dal 6 al 13 marzo e pubblicato sulle pagine web della rivista
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