Silvio Orlando: “Con Nanni Moretti la svolta. Diane Keaton il mio mito ma con lei sul set non è stato facile. E Sorrentino…”. Silvio Orlando su Nanni Moretti, i problemi dul set conDiane Keaton, Paolo Sorrentino, e non solo. L’attore napoletano, 67 anni, si racconta in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Silvio Orlando ha scoperto la propria vocazione artistica durante la sua esperienza teatrale a Napoli, vissuta tra il 1975 e il 1985. Racconta: «Nella fase napoletana, che va dal 1975 all’85. Parlo di teatro. Il cinema era tabù, non avevamo una lira. Ognuno aveva il proprio gruppo. Ci mettevamo in qualche scantinato e facevamo testi nostri, anche cose di teatro popolare napoletano, per carità. Fino a quando, a 27 anni, in modo rocambolesco andai a Milano, al teatro dell’Elfo dove c’era una compagnia importante. Cercavano un napoletano per la trasposizione di ‘Comedians’, con la regia di Salvatores. Da lì è nato tutto».
Il suo rapporto con Nanni Moretti è stato altrettanto significativo. «Cinque film insieme. Un sodalizio che dura dagli Anni 80 a oggi, di sottofondo ci sono affetto e stima. Investì su di me quando non era scontato ed era un rischio grosso. Palombella rossa, il mio debutto con lui, fu la svolta. La lavorazione andò fuori controllo, Nanni aveva problemi di salute e i tempi si dilatarono. C’era qualcosa di metafisico. Pensai, allora il cinema si fa così. La ripetizione di ciak mi sembrava insensata… però l’importante è il risultato finale».
Silvio Orlando: “Con Nanni Moretti la svolta. E Sorrentino…”
Paolo Sorrentino entrò nella sua vita professionale nel 1998, quando era solo uno sceneggiatore. «Nel film Polvere di Napoli di Antonio Capuano, il suo mentore. Paolo era impermeabile, di una timidezza totale. Scrisse anche per un film che saltò, La voce dell’amore: io attore e Michele Placido regista, la storia di un cantante fallito e la figlia con una voce meravigliosa. Da quella costola nacque uno dei personaggi de L’uomo in più, l’esordio di Paolo. Per La grande bellezza lavorarono tutti tranne io, anche mia moglie Maria Laura ebbe una piccola parte. Pensai che mi vedesse come una faccia consumata».
Nonostante ciò, il ruolo del cardinale Voiello in The Young Pope gli fu affidato proprio da Sorrentino. «Per The Young Pope ricordo il provino con l’ostacolo dell’inglese, gli chiesi di cambiare posto col suo assistente, avevo bisogno di avere il suo sguardo davanti a me. Da quel momento tutto partì».
Parlando del lavoro con Jude Law, ricorda: «Era un uomo caduto sulla Terra da qualche altro pianeta, ma sulla Terra si è trovato bene. Era distante, poi era sempre vestito da papa… Con lui ho capito la macchina hollywoodiana, la disciplina, il tipo di performance che devi dare. John Malkovich invece era più accogliente». E a proposito di Diane Keaton aggiunge: «Lei non aveva capito niente di dove era stata paracadutata. Sembrava rapita con una botta in testa e portata sul set. Aveva una scena lunga. Disse, ma come si fa a recitare una cosa del genere? Imprecava, perché faccio questo lavoro? Tra noi due in scrittura c’era un amore tra le righe. Non fu facilissimo. Lei evaporava e intanto io pensavo che era stata il mio mito giovanile».
Silvio Orlando: “Diane Keaton il mio mito ma con lei sul set non è stato facile”
La sua insicurezza è una costante che lo accompagna, come ammette: «Vivo la sensazione che si svolge una festa e non mi fanno entrare. Anche se lavoro con registi importanti penso di essere unico, insostituibile. Poi mi risveglio, suono al loro citofono e non mi rispondono. Entro ed esco da luoghi dove dovrebbe avvenire la mia consacrazione definitiva. Più che la sindrome dell’impostore, un clandestino».
Anche a teatro, la sua passione per il lavoro lo spinge a reagire davanti alla maleducazione del pubblico, come dimostra un episodio recente: «Ho reagito mio malgrado. A teatro si ha diritto di essere ascoltati, fai un patto con delle persone… Il discorso è tra la qualità di un attore da una parte, e dall’altra la maleducazione e la superficialità. Il vero miracolo oggi è che 600 persone riescano a stare per due ore senza cellulare. Mi meraviglio di come riescano a rinunciarvi. Cerco di far rientrare gli incidenti in momenti di spettacolo. Di solito faccio un annuncio prima. Quando succede l’intoppo ricomincio da capo, dal punto in cui il cellulare squilla o si imbianca per un messaggio. Io detesto l’idea del teatro come rito sacro del sacerdote che officia».
Silvio Orlando: “Napoli è un magnete”
Infine, riflette sulla sua città, Napoli: «Penso alla diaspora. Chi è rimasto e chi è andato via. Come se non fossimo legittimati a parlarne. Io sono cresciuto con la Napoli degli Anni 60, ricostruita nei quartieri nuovi. Il Vomero era il sogno di modernizzazione, miseramente fallito. Noi abbiamo cercato di liberarci del carico dei cliché. Ho letto una classifica, che non so come si compila, dove Napoli risulta la città meno felice. Si scambia l’allegria per felicità, che sono cose diverse; l’allegria è una maschera che si mette per non impazzire. La natura lì è più forte, non solo per il mare ma per quello che scorre sotto la città, il vulcano, il fuoco. Per questo i napoletani sono imprevedibili, non puoi metterli in qualcosa di predefinito. Negli ultimi anni un movimento culturale o di costume c’è stato. I treni veloci che portano tanta gente hanno mostrato una Napoli meno sgomenta di tante fiction. È una trappola in cui è difficile che vi ricada chi ci ha vissuto. Forse sono un guastafeste di natura. Napoli mi sembra una festa forzata, obbligata, però resta un magnete anche per noi che ci siamo nati» (foto: Silvio Orlando Instagram).
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