Home » Nino D’Angelo: “Geolier e Clementino figli del mio caschetto biondo. Non canto in italiano nemmeno sotto minaccia armata”
Gossip Spettacolo

Nino D’Angelo: “Geolier e Clementino figli del mio caschetto biondo. Non canto in italiano nemmeno sotto minaccia armata”

Nino D’Angelo: “Geolier e Clementino figli del mio caschetto biondo. Non canto in italiano nemmeno sotto minaccia armata”. Nino D’Angelo su Geolier, Clementino e non solo. Il cantautore napoletano, 64 anni, si racconta ripercorrendo le tappe più significative della sua vita privata e professionale in una intervista a ‘Tv Sorrisi e Canzoni’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Dopo il mega concerto di Napoli, ora celebra gli indimenticabili anni ’80 partendo da Bari, passando per Milano e facendo tappa a Eboli. A dimostrazione che l’intera Italia l’applaude. Come spiega questo legame speciale con il pubblico?
«Sono un artista che ha attraversato tante generazioni. Credo che in una qualsiasi casa di meridionali ci sia da qualche parte un disco o una vecchia cassetta dei miei successi. Sono diventato uno dei componenti della famiglia italiana (ride). Ai miei concerti partecipano le persone della mia età, i figli, i nipotini e, qualche volta, anche i pronipoti.

Come mi spiego l’affetto della gente? Ho sempre cercato di evolvermi e ho preferito andare oltre al cliché del solo interprete di canzoni napoletane. Ho sentito sempre la necessità di cambiare rimanendo comunque fedele alla mia identità. Io, da adulto, voglio festeggiare attraverso questi eventi “Quel ragazzo della curva B” (film, per la regia di Romano Scandariato, di cui lo stesso Nino era protagonista, ndr) autore di tanti successi dell’epoca come A’ Discoteca, Popcorn e Patatine, Maledetto Treno, Napoli, Pronto si tu, A mare…oo, Nu jeans e na maglietta. A quel ragazzo, il Nino di oggi è immensamente riconoscente».

Nino D’Angelo: “Geolier e Clementino figli del mio caschetto biondo”

[…] Il rap napoletano è diventato un fenomeno di massa. Cosa ne pensa di questo genere musicale e del suo legame con la tradizione napoletana?
«Bisogna fare una distinzione netta tra il rap napoletano e la canzone napoletana. Il rap si basa su suoni semplici e parole mentre la canzone napoletana si fonda essenzialmente sulla melodia. Non sono un fan sfegatato di questo genere musicale però sono aperto a tutto e sto cercando di decodificarlo. I giovani rapper stanno avendo un successo straordinario, circostanza che mi fa pensare, che piace tanto al pubblico. Io però in macchina non ascolto questa musica. I grandi rapper napoletani di oggi come Luchè, Geolier, Rocco Hunt, Clementino sono “figli” di Nino D’Angelo con il caschetto biondo. La radice è da rintracciarsi in quel Nino lì che ebbe il coraggio di cambiare la canzone napoletana».

All’inizio della sua carriera, il napoletano era spesso visto come un limite. Oggi, proprio i rapper napoletani lo hanno sdoganato rendendolo un punto di forza…
«E anche io, per questo motivo, sono diventato più forte e, quindi, rivalutato maggiormente. Ne traggo solo beneficio da questo “andazzo”. Se l’apertura di oggi ci fosse stata ai miei tempi, probabilmente mi sarei esposto anche a meno critiche».

[…] A proposito di fan, ma è vero che Miles Davis era innamorato dei suoi pezzi?
«Confermo tutto. Non è una fesseria. Lui lo dichiarò in una conferenza stampa. Quando mi portarono il giornale, rimasi sorpreso perché non sapevo nemmeno chi fosse Miles Davis (ride). Da quel momento in poi mi chiamarono critici e giornalisti di tutto il mondo che mi parlavano in inglese. Io non capivo niente e rispondevo loro in napoletano. La cosa curiosa è che non ho mai incontrato Miles Davis ma ho avuto la fortuna di suonare con uno dei suoi più cari amici: Billy Preston. Fu lui a raccontarmi che quando Miles organizzava le feste a casa sua, metteva le mie canzoni e le cantava».

Nino D’Angelo: “Non canto in italiano nemmeno sotto minaccia armata”

Nino facciamo un passo indietro. A 13 anni lei vendeva gelati e cestini da viaggio alla stazione di Napoli perché suo padre lavorava lì. E dedicava canzoni ai passeggeri in partenza…
«Papà lavorava al buffet della stazione di Napoli. Poi si ammalò e i suoi colleghi, per aiutare la mia famiglia, chiesero al responsabile di assumermi come lavoratore stagionale. Quando cominciavo a cantare, si formava la folla intorno a me e io ne approfittavo per vendere più gelati».

Chi ha scoperto il suo talento?
«All’associazione cattolica di San Benedetto c’era un frate che raccoglieva tutti i ragazzini del quartiere per toglierli dalla strada e si inventava di tutto per farci divertire: cori, giochi, commedie, musical improvvisati. E lì venni scelto per la mia voce. In quel periodo, lavoricchiavo in un negozio di scarpe. Durante il periodo dei cestini da viaggio venduti alla stazione centrale conobbi un amico che organizzava matrimoni. Dopo avermi sentito cantare, mi chiese se volevo esibirmi nelle feste private e così accettai.

Un altro passaggio importante fu la presenza alla Galleria Umberto dove c’era una specie di mercato di cantanti. A casa, però, mio padre, che aveva i piedi per terra, mi continuava a ripetere: “Nino ma pecchè tu vo fa sto fatt (ma perché tu vuoi cantare, ndr)? Noi siamo poveri e io non ti pozz aiutà (posso aiutare, ndr). Facciamo così: non portare più niente a casa. Chell ca uaragn (ciò che guadagni), te lo tieni per te e fai quello che vuoi”».

Nino D’Angelo: “Caschetto biondo fu una svolta”

[…] E venne l’epoca del caschetto biondo. Prima di lei solo le Gemelle Kessler, Caterina Caselli e Raffaella Carrà. Ma a chi è venuta l’idea?
«Tutti mi dicevano che non ero bello e che non avevo nemmeno il fisico. Tra me e me pensavo: ma perché tutti giudicano il mio aspetto fisico e non la voce? Uno dei miei impresari, che era più ignorante di me, insisteva su questo aspetto. Un bel giorno, andai dal mio amico barbiere e gli chiesi di inventarsi per me un taglio particolare. Parlando parlando, decidemmo di provare questo caschetto biondo. Ua’ ci fu la svolta. Quello stile fece subito tendenza. Le ragazzine impazzirono. Ma anche tanti uomini iniziarono a emularmi».

[…] Quando la sua carriera aveva preso la piega del successo, giornalisti e intellettuali non sono stati sempre clementi, etichettandola come “il re dei tamarri”. Come ha vissuto quelle critiche impietose sia come artista che come persona?
«Più che il re dei tamarri, i critici non mi consideravano proprio. Tutti si chiedevano cosa volesse fare nel mondo della musica, questo ragazzo con il caschetto giallo, privo di cultura, incapace di parlare in italiano. Gli intellettuali spesso non sanno e non vanno fino in fondo. Se solo qualcuno avesse alzato quel ciuffo biondo e avesse visto la mia faccia… Nonostante quei giudizi impietosi, io me ne sono sempre strafregato. Loro criticavano e io continuavo a fare soldi».

Nino D’Angelo: “Riconoscenza immensa verso il popolo napoletano”

[…] Lei è nato in una famiglia povera ma, come nelle più belle favole, è diventato ricchissimo…
«Avrò avuto 6 o 7 anni quando un giorno mio padre, davanti a una bicicletta nuovissima, mi disse: “Tu questa qua, non te la potrai mai comprare. La puoi solo vedere. Noi siamo poveri”. Devo confessare una cosa (si commuove, ndr): ogni tanto mi capita di chiudere l’uocch (gli occhi, ndr) e di rimanere incredulo rispetto a quello che ho e che sono diventato. Non mi sembra vero. Sono cinquant’anni che vivo una favola continua. Sfido io se i cantanti di oggi rimarranno per così tanto tempo. Da ragazzo non mi sono mai arreso alla speranza. Comunque la mia riconoscenza è immensa nei confronti sa di chi?»

Di chi?
«Del popolo napoletano. Io sono una carezza di quella gente. È successo tanti anni fa che i napoletani, a un certo punto, si sono messi tutti quanti insieme e mi hanno fatto diventare milionario. Mi sono anche sposato una ragazza del popolo…».

[…] Ha mai pensato di tradurre in italiano una sua vecchia canzone?
«Per carità. E questa è na jastema (bestemmia) (ride). Non canterei mai in italiano nemmeno con una pistola puntata».

Seguici anche su Facebook. Clicca qui

Loading...
Social Media Auto Publish Powered By : XYZScripts.com