Mauro Di Francesco: “Addio Tv per scelta, torno solo se mi chiamano quei 4. Scambiato per terrorista in Sardegna”. Mauro Di Francesco sull’ddio alla Tv, le scorribande romane, quel disguido in Sardegna, e non solo, l’attore milanese, 73 anni, si racconta in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
[…] Oggi ha 73 anni e da un pezzo si è ritirato in felice ozio in Toscana. Basta film, basta tv. Non si annoia?
«Scrivo, leggo e dipingo. Alle 8 faccio colazione al bar del paese, come i vecchi. Mi hanno cercato tanti, avrò detto almeno venti no. O chiedevo compensi assurdi. Spero sempre che mi chiamino Sorrentino o Tornatore, Pupi Avati, magari Quentin Tarantino, allora ci ripenserei».
A 15 anni già in teatro con Strehler, chissà che ansia.
«Mi divertivo come un matto. Ero basso, mi avevano fatto una corazza su misura, prima di entrare in scena me la spalmavano di sangue finto. Recitavo con Valentina Cortese, mi invitava nella bella casa di piazza Sant’Erasmo a Milano, voleva che facessi da maestro di vita per il figlio Jackie, viziato e imbranato. Lo portavo in giro. Ma restò così».
[…] Gli anni del Derby.
«Con Abatantuono, Giorgio Faletti, Massimo Boldi, Giorgio Porcaro e Ernst Thole fondammo il gruppo dei Repellenti, ci battezzarono così Enzo Jannacci e Beppe Viola. Diego sul palco ce lo portai io. Era l’elettricista dei Gatti di Vicolo Miracoli. Doveva accendere un unico faro. Ma era sempre chiuso in bagno con qualche ragazza, così fu licenziato. “Dai, vieni con me”. Io ero Eva Kant e lui Diabolik. Andammo avanti per un po’, poi cominciò a fare il personaggio del meridionale e continuò da solo».
Mauro Di Francesco: “Addio Tv per scelta, torno solo se mi chiamano quei 4”
[…] La presero per un bandito.
«Avevo una serata a Olbia, in Sardegna. Interpretavo un bambino terribile, con grembiulino e fiocco, ma che nella cartella aveva un vibratore, Playmen, un cartoccio di Pakistano Reggiano, una bustina con il talco, una pistola giocattolo. All’aeroporto mi fermano i carabinieri col mitra spianato. Ci ho messo un’ora a spiegargli che era tutta roba per lo show».
Rinunciò a «Sapore di Mare».
«Eh. Con Carlo Vanzina avevo già girato I fichissimi. Diventammo amici. Credo volesse darmi la parte di Jerry Calà. Ma Diego mi voleva per forza con lui in Attila il flagello di dio. A quei tempi eravamo molto uniti, come culo e mutanda. Ho scelto lui e Carlo ci è rimasto malissimo».
Non ci fece un affare.
«Attila fu una tragedia, andò malissimo. Cecchi Gori si era svenato per pagare il cachet di Diego così risparmiò sulle comparse. Per l’esercito dei barbari eravamo in sei, tra cui Franz Di Cioccio e Francesco Salvi. Diego si lamentava con Rita Rusic: “Tuo marito è un barbone, un tirchio”».
Rimediò con «Sapore di mare 2», senza i Vanzina.
«Per copione mi innamoravo di Pascale Reynaud e accadde anche nella vita. Stavo con Laura Belli, confessai il mio sbandamento ma tornai a casa. Lei però mi fece trovare le valige fuori dalla porta».
Mauro Di Francesco: “Io scambiato per terrorista in Sardegna”
[…] Facevate baldoria.
«Mica tanto, giravo un film dopo l’altro, la mattina alle sei dovevo stare sul set. Dormivo da nonna Violetta, che un giorno sulla porta mi lasciò un cartello: “Maurino, le chiavi sono sotto lo zerbino”, ottimo per i ladri. Però ricordo belle serate a Roma con Diego e Claudio Amendola».
Si dava da fare parecchio.
«Ho avuto un sacco di donne, mi sono divertito, ero giovane, carino, simpatico. Mica solo io. Teo piaceva molto, Diego pure, era bello. Faletti cuccava di brutto, attaccava a suonare la chitarra, le sfiniva così. Boldi no, aveva la sua Marisa, tutto casa e chiesa».
Un’avventura finita male.
«Mi ero ubriacato davvero, a una festa. Al mattino mi svegliò un maggiordomo di colore con giacca e guanti bianchi: “Signore, signore”. Mi voltai. Nel letto accanto a me c’era una vecchia, avrà avuto cent’anni, uno scheletro con Rolex d’oro e in testa un mocio. “Amore, vuoi la colazione?”. “No, no, è tardi, è tardi”. Saltai giù, recuperai i jeans dal pavimento e scappai».
Era successo l’irreparabile?
«Temo proprio di sì».
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