Edoardo Leo: “Il clandestino? Io come Luca ho vissuto il fallimento. Ecco perché ho messo da parte tv e cinema per un anno”. Edoardo Leo su ‘Il clandestino – Un investigatore a Milano’, il periodo di pausa di un anno, e non solo. L’attore romano, 52 anni, parla della Serie di 6 puntate al via su Rai1 da lunedì 8 aprile, in una intervista a ‘Tv Sorrisi e Canzoni’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Edoardo, che cosa ha trovato di interessante in questo ruolo?
«Non facevo un prodotto televisivo da tempo, e quando ho letto la sceneggiatura mi ha colpito per l’originalità nel mescolare dramma, introspezione e commedia. E poi mi ha affascinato il personaggio di Luca, così complesso, ombroso, introverso, solitario. Fare in modo che il pubblico si innamori di un personaggio tanto scontroso è stata una sfida che ho accolto subito».
Chi è il “clandestino”?
«Un uomo che ha perso tutto, l’amore, il lavoro, e si rende conto che l’emarginazione non dipende dalla razza o dall’estrazione sociale, ma è una condizione esistenziale».
Edoardo Leo: “Il clandestino? Io come Luca ho vissuto il fallimento”
Luca Travaglia sente il peso del fallimento. Le è mai successo?
«È accaduto nella mia vita professionale. Faccio questo mestiere da trent’anni, ma solo negli ultimi dieci le cose hanno iniziato ad andare bene. Prima ho affrontato tanti fallimenti. Molte volte mi sono chiesto se andare avanti o lasciar perdere».
Ora che ha raggiunto il successo le capita mai di desiderare la clandestinità, essere fuori dai riflettori?
«Sarei un ipocrita a dire che vorrei tornare agli inizi della mia carriera, quando nessuno sapeva chi fossi. La popolarità ha i suoi vantaggi e svantaggi, basta gestirla. A me piace stare sotto i riflettori quando lavoro, ma ho anche un senso del pudore per quanto riguarda la mia vita privata e non mi piace mettere in mostra i sentimenti».
Per Luca l’inizio della rinascita parte dall’amicizia con Palitha. Com’è andata con Shapi sul set?
«Lavorare con Hassani Shapi è stata una grande scoperta. Un uomo straordinario, un keniota con un senso dell’umorismo napoletano. È lui che nella serie porta quella ventata di commedia che la distingue da altri polizieschi».
Nel mondo dello spettacolo, invece, è difficile avere amici?
«No, io tengo molto all’amicizia, anche tra colleghi. Per esempio, con Marco Bonini ci conosciamo da quando eravamo giovani. Ma sono legato anche a tanti altri, da Luca Argentero a Claudio Amendola e Stefano Accorsi, un grande professionista, con il quale ho lavorato a un film bellissimo come “La dea fortuna” di Ferzan Özpetek».
Edoardo Leo: “Ecco perché ho messo da parte tv e cinema per un anno”
Il motto di Luca: «Le persone non sono mai quelle che sembrano». Lo condivide?
«Penso che tutti noi utilizziamo una maschera. Entrare in contatto con sé stessi, con la propria parte intima, è sempre difficile e doloroso».
Lei ci riesce?
«Io lo faccio attraverso i personaggi che interpreto e per me è un’ottima autoanalisi, perché riesco a scoprire un pezzetto in più di me stesso. Nel caso di “Il clandestino”, sicuramente non sono così ombroso e introverso come Luca, ma come lui mi piace osservare le persone, cercare di capirle».
Finita di girare la serie aveva dichiarato che si sarebbe preso un periodo di pausa perché si sentiva svuotato. Come mai?
«Venivo da un periodo intenso di lavoro. E “Il clandestino” mi ha assorbito molto anche perché abbiamo girato quasi sempre di notte e al freddo. Terminate le riprese, lo scorso maggio, mi sentivo privo di energie. E questo mestiere per me ha bisogno di spinta, di creatività. Perciò ho deciso di mettere da parte tv e cinema per un anno. E mi sono concentrato sul teatro: sono in tour fino a fine aprile con “Ti racconto una storia”, poi in autunno uscirà un film che ho diretto e interpretato, “Non sono quello che sono”, una rilettura in chiave moderna e originale dell’“Otello” di Shakespeare».
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