Vecchioni: “Mio figlio morto? Non solo il dolore, un aspetto non passerà mai. Dio ascolta ma il vero miracolo è un altro”. Roberto Vecchioni sul figlio morto e non solo, il cantautore brianzolo di origini napoletane, 80 anni, parla a cuore aperto in una intervista a “7” de ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
[…] L’infanzia. Il gioco. L’avventura. L’uomo che si gioca il cielo a dadi. Luci a San Siro. Il premio Tenco. Platone e Antigone. Il casellante d’autostrada e il primo amore. Che cosa tiene tutto insieme nell’enciclopedia Vecchioni?
«È sempre la vita. NessunVecchioni: “Mio figlio mortoo, ma proprio nessuno può sapere quale tra le mie trecento canzoni io ami di più, è una canzone totale, vale per tutta l’umanità, si chiama: Storia e Leggenda del Lanciatore…».
Un’altra metafora…
«Nel libro un nonno, un padre e un figlio, si passano come eredità il senso del vivere. È lanciare coltelli per colpire le stelle e illuminare l’universo. Sono coltelli simbolici e stanno per sogni, desideri, speranze, fedi, slanci d’amore, risate e abbracci. Quando li hai lanciati tutti, beh, allora senti che sei solo. Ma non crederci, continua a lanciarli».
Con il rapper Alfa ha avvicinato due generazioni, con Eschilo e i filosofi è diventato il professore anche in tv, con la musica e le canzoni il dialogo si è intensificato coi giovani. Poi Vecchioni ha pianto per le manganellate agli studenti di Pisa… Com’è il rapporto coi giovani?
«Ascoltare, ascoltare, ascoltare, deviare da quella retta parallela che ci tiene aggrappati a certezze testarde, intendere i loro codici, frugando fra le loro letture, musiche, slang, capire perfino senza condividere, risparmiargli verità assolute e confrontarci su quelle relative».
Vecchioni: “Mio figlio morto? Non solo il dolore, un aspetto non passerà mai”
[…] Che significato hanno le parole che danno il titolo al libro?
«Il tuono è corpo, materia, vita vissuta, il tuono è tempo, divenire, ladddove il silenzio è punto immobile. Il tuono è in quel che fai o ti fanno: è il su e giù, l’illusorietà rumorosa e traballante di gioie e dolori».
E il silenzio? È vero che le piccole cose si sentono solo nel silenzio?
«Il silenzio è la dimensione, lo spazio e il giardino dei sentieri che si biforcano. È il pavimento in cui il nonno si distende per vedere intersecarsi, come giochi sul muro, le infinite cose che ama».
E poi c’è il dolore che entra nella vita, ne fa parte. C’è la perdita di un figlio. Il funerale da cui non si torna. Di questo amatissimo figlio scrive che il mondo è il rovescio del suo cuore e lui non ha il cuore per il mondo…
«Nel libro, quando ne ho parlato, l’ho fatto volutamente sotto metafora. Quella dell’ultimo autovelox, quella della penna piantata nel suo cuore e addirittura quella del dolore espresso non da me, ma dalle cose intorno in quella buia notte: le piastrelle dell’ospedale, i neon, gli insetti…».
C’è un dolore che non passa.
«Ma il dolore più grande sta sempre nel rimorso, quello di aver messo la mia vita davanti alla sua. Non passa, non mi passerà mai».
Vecchioni: “Dio ascolta ma il vero miracolo è un altro”
Il rapporto con Dio, un altro dialogo in corso: è onnipotente, onniscente, onnipresente, ma è anche sordo…
«Questa è una boutade, in fondo credo che ascolti, eccome che ascolti. Il vero grande miracolo è che Dio non interviene mai, ha giurato di lasciarci liberi e così fa, ma la tensione che abbiamo verso di lui è immensa, la vera preghiera non è quella per esigere ma proprio quella per ascoltarci e basta: noi siamo qui, noi siamo uomini, grandi nelle nostre miserie, ricordati che siamo qui».
[…] Che cosa cambia nella vita a ottant’anni, «a cercar varchi, feritoie, passaggi, vie d’uscita» che a volte non ci sono? Sono più le cicatrici o i vantaggi?
«Vantaggi a iosa. Puoi permetterti di dire tutto quel che vuoi, anche indegne puttanate. Puoi litigare e far pace nel giro di dieci minuti, puoi abbracciare dieci ragazze fuori da ogni sospetto (c’è chi va più in là, io no), puoi dimenticare o far finta di dimenticare, raccontar balle o chiedere un mare di favori, puoi perfino immaginarti di non morire mai, di veder crescere fino a tre metri l’ulivo che hai appena piantato».
[…] C’è una lunga dedica nel libro: chi sono Chicco, Gin, Sergio, Gigi, personaggi reali o immaginari?
«Il libro è dedicato agli amici più antichi, riassunti poi tutti insieme nella lettera all’ingegnere Francesco Dolcino sulla philia, che definirla solo amicizia è riduttivo: la philia è compenetrazione, inclusione, replicanza. La philia ha certezze, molto più che verità».
[…] Che cosa rimane di quella sera cantata negli anni Settanta?
«San Siro è una regione del ricordo, che si mitizza dentro di me. Allora era l’amore e l’armonia con tutto, era speranza e l’attesa che i sogni sbocciassero per non finire mai».
E oggi?
«L’unica indelebile traccia che mi porto dentro di Milano è la sua anima».
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