Bombolo, il figlio: “Quel brutto male, oggi si sarebbe salvato. Schiaffi da Milian? Qualcuno lo beccava sul serio”. Bombolo, il figlio Alessandro Lechner, 56 anni, tecnico del gas e uno dei tre figli dell’indimenticabile attore comico delle commedie anni Settanta-Ottanta, racconta alcuni retroscena legati al padre in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
[…] Nato povero.
«Orfano di madre, che morì di parto al quinto figlio. Il padre Ernesto faceva l’ambulante, vendeva le pere cotte e quello che rimediava, stoviglie, strofinacci. “Ci morivamo di fame”, raccontava papà. Da piccolo dormiva nel cassetto del comò. Ogni tanto, passando nel poco spazio che restava, per sbaglio il fratello ce lo chiudeva dentro».
Lasciò la scuola a 8 anni.
«Fece fino alla seconda elementare, nella classe differenziata: gli altri andavano di mattina, i poveri di pomeriggio. Il grembiule, le penne e i quaderni costavano troppo».
Ambulante pure lui.
«Col carretto a pedali. Usciva alle sette, girava per i vicoli dietro Campo de’ Fiori. Piatti, bicchieri, ombrelli, tovaglie. “Tre padelle mille lire!”. Vasi cinesi. Era bravo, i soldi ce li faceva. Ci mandò tutti e tre alle scuole private, ci teneva, per lui era una rivincita».
[…] Perché lo chiamavano Bombolo?
«Da piccolo era cicciotto, camminava a balzelloni. C’era pure la canzoncina: “Era alto così, era grosso così, lo chiamavan Bombolo”. E quel soprannome poi se l’è portato dietro, anche se da ragazzo era magro».
Bombolo, il figlio: “Quel brutto male, oggi si sarebbe salvato”
Ci sformava?
«No. Tutti avevano un soprannome. Mio zio, che aggiustava frigoriferi, era Er Cocacola, il cugino macellaio Er Fettina. Verso l’una finiva il giro e si fermava a mangiare alla taverna di Picchiottino. Tra un bicchiere e una pietanza, con gli amici del rione, improvvisava delle scenette. Uno scherzo tirava l’altro. Doveva venire a prenderci a scuola alle quattro, si presentava non prima delle sei».
Ed è lì che fu scoperto.
«Castellacci e Pingitore un giorno capitarono in quella osteria. Lo notarono e gli lasciarono un numero di telefono su un foglietto. “Ci chiami, ha la faccia giusta per il cinema, un talento naturale”. Papà se lo dimenticò nella tasca dei calzoni, lo trovò mamma. Lui non voleva richiamare, lo fece lei al posto suo».
[…] Aveva qualche difficoltà.
«All’inizio faceva fatica a studiare i copioni, anche semplici. Perché non sapeva leggere, non bene. A casa dovevamo aiutarlo. Con gli anni diventò più bravo, riusciva ad imparare a memoria anche dialoghi lunghissimi, non sa quanto ne andava orgoglioso. E in locandina il suo nome compariva in alto, accanto a quello di Oreste Lionello».
Teneva i piedi per terra.
«La mattina continuava a fare l’ambulante, almeno i primi anni. “Male che va riprendo il carretto, di fame nun me moro, dalla strada vengo e alla strada ritorno”».
Bruno Corbucci lo lanciò con la serie cult di polizieschi-comici, in cui (per finta) prendeva sempre ceffoni.
«Qualcuno lo beccava sul serio. La gente si divertiva. Tornato a casa diceva: “E anche oggi, per guadagnare ‘sti du’ quatrini, me sò preso quattro pizze ‘n faccia”. Tomas Milian gli voleva bene».
[…] Una sua botta da matto.
«Giocavo a calcio, mi accompagnò per una trasferta a Latina. Quando il pullman si fermò a un autogrill sulla Pontina, scese anche lui con il presidente e l’accompagnatore. Tornarono soltanto loro, lui no. Si era fermato a un matrimonio lì vicino, al ritorno lo trovai a tavola che brindava con gli sposi e la torta».
Bombolo, il figlio: “Schiaffi da Milian? Qualcuno lo beccava sul serio”
[…] Girava pellicole considerate di serie B (anche se le vedevano tutti), ci soffriva?
«No, in quegli anni la commedia italiana era così, gli incassi c’erano. L’avevano chiamato per interpretare Ricciotto ne Il Marchese del Grillo, poi però non fu preso, forse era troppo riconoscibile».
Quei filmetti scollacciati con Lory Del Santo, Nadia Cassini, Annamaria Rizzoli. Sua madre era gelosa?
«Un po’ sì, però non c’era motivo. Papà guardava, sì, ma non toccava. E dopo tornava a casa, amava moltissimo la famiglia, perché da piccolo non l’aveva avuta».
Guadagnava bene?
«Non ha fatto in tempo. Nel 1987 il Bagaglino arrivò in tv, su Canale 5, lì sì che pagavano bei soldi, purtroppo lui è morto proprio sul più bello».
[…] Cosa le raccomandava?
«Diceva: “Apprezza quello che hai e non guardare davanti a te, ma dietro: c’è sempre chi sta peggio di te».
Si ammalò.
«Era dimagrito, non era più lui, anche se volle continuare a lavorare fino alla fine. Quel brutto male lì, 37 anni fa, non riuscirono a curarlo, oggi si sarebbe salvato».
L’ultimo ricordo.
«Era uscito dall’ospedale il giorno del mio compleanno, il 12 agosto. Stavamo a tavola, era provato. “Guarda che festa brutta che hai avuto”. “No, papà, per me è la più bella, perché sei a casa con me”. Ci mettemmo a piangere tutti e due. Nove giorni dopo è morto».
Non è stato dimenticato.
«Ho creato un gruppo su Facebook: “Bombolo core de Roma”, come sta scritto sulla sua lapide. Ha 16 mila iscritti. Ogni anno ci si incontra per un raduno di appassionati».
E che fate?
«Si canta e si ride e si va tutti a mangiare in trattoria».
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