Milena Vukotic: “Nuda su Playboy? L’ho fatto per un motivo. Paolo Villaggio ? Ho un solo rimpianto”. Milena Vukotic nuda su Playboy, l’attrice italiana di origini montenegrine, 88 anni, ripercorre le tappe più significative della vita privata e professionale in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Il cognome, prima di tutto: Vukotic.
«Origini montenegrine, anche se sono nata a Roma nel 1935. Lo sa che sono nipote di un Pope ortodosso? Uno che aveva due figli e quando uno di questi decise di darsi al teatro lo cacciò di casa. Poi, quando il ragazzo morì prematuramente per tubercolosi, il padre nemmeno si presentò ai funerali».
Lei, però, è stata figlia d’arte.
«Madre pianista e compositrice, padre diplomatico ma autore di testi teatrali. Papà conosceva Pirandello. Conservo una lettera in cui il drammaturgo gli dava il permesso di tradurre le sue opere e di allestirle nella ex Jugoslavia. A casa nostra arrivano scrittori e artisti. Ho cominciato a suonare il pianoforte da bambina».
[…] Perché lei smise di danzare?
«Perché prima mi innamorai del teatro e poi del cinema. Ero già una giovane donna, e pensi che andavo raramente al cinema, mi interessava solo il palcoscenico. Poi un giorno vidi La strada di Fellini. Fu una folgorazione».
Milena Vukotic: “Nuda su Playboy? L’ho fatto per un motivo”
Come conobbe Fellini?
«Ero da poco tornata in Italia, non conoscevo nessuno e avevo fatto solo teatro. Ci fu un signore, nemmeno ricordo chi, che mi scrisse una lettera di raccomandazione, ma quando mi trovai davanti a Federico non ci fu bisogno di mostrargliela. Mi mise una mano tra i capelli e capii che andava bene così. Quella lettera non gliel’ho mai fatta vedere».
[…] Esattamente sessant’anni fa, lei prendeva parte a una delle trasmissioni più importanti della tv italiana, «Il giornalino di Gian Burrasca», miniserie con Rita Pavone, per la regia nientemeno che di Lina Wertmüller.
«Io avevo lasciato le mie foto per il casting e poi ero volata a Belgrado perché non vedevo papà da anni. Appena arrivata in albergo, mi chiama Lina: “Senti Milena, tu sai cantare? Dai cantami qualcosa adesso”. “No, al telefono mai, casomai torno a Roma”. Ripartii subito col primo volo e andai negli studi Rai. Ad aspettarmi, con Lina, al pianoforte c’era Nino Rota».
[…] Lei ha recitato con grandi registi, da Fellini a Monicelli a Lattuada a Tarkovskij.
«E pensare che quando ero agli esordi feci un provino con Renato Castellani, il quale mi disse: “Per fare cinema o devi essere bella come la Lollobrigida o carismatica come la Magnani. Tu non sei nessuna delle due cose”».
Però lei nel 1976 si è spogliata per «Playboy», immagini sensualissime.
«Le foto erano accompagnate anche da un testo di Alessandro Blasetti che rifletteva sulla femminilità. Mi dissi: perché no? L’ho fatto anche per dimostrare che noi donne sappiamo essere tante cose insieme, che le etichette non servono, che possiamo trasformarci con libertà».
Milena Vukotic: “Paolo Villaggio? Ho un solo rimpianto”
In lei registri diversi sembrano amalgamarsi nel segno di un’eleganza naturale. Penso soltanto al fatto che nello stesso anno, il 1980, lei recitava ne «La terrazza» di Scola e in «Fantozzi contro tutti».
«Ero la nuova moglie di Ugo, perché Liù Bosisio se n’era andata. Non ne poteva più: dicono che una volta, mentre recitava Euripide a teatro, uno degli attori la chiamò Pina!».
Succede anche a lei?
«Ancora oggi, al mercato, mi chiamano Pina, ma va bene così, vuol dire che quel gigantesco affresco sociale che Paolo Villaggio ha costruito è davvero entrato nella pelle delle persone».
[…] Fu Villaggio a sceglierla nel ruolo di Pina?
«Sì, ci incontrammo in televisione e pochi giorni dopo la parte era mia. Paolo era coltissimo e agli occhi di tanti poteva sembrare anaffettivo, ma io, oggi, penso che non fosse così».
Un episodio che ce lo faccia capire?
«Quando morì mia madre eravamo quasi alla fine della lavorazione di un Fantozzi. Io dovevo interpretare un personaggio comico, ma dentro stavo malissimo. Paolo, durante una pausa, si avvicinò e mi disse: “Milena, so che è morta tua madre”. Mi aspettavo una frase di cordoglio, ma lui, senza nessun motivo apparente, si mise a parlare di Dostoevskij. Io capii che non era freddezza, la sua, ma un modo speciale di filtrare il dolore, di cristallizzarlo».
Vi siete frequentati fino alla fine?
«Ho un solo rimpianto: quando lui e Maura cambiarono casa, ci siamo scambiati qualche telefonata e, dalla voce, io sentivo che lui non era contento. Ma non siamo riusciti a vederci e allora mi dispiace di non essergli stata vicino quando lui era infelice».
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