Marina Massironi: “Separazione dal trio e da Giacomo consensuali, ma c’è un fatto curioso”. Marina Massironi sulla separazione dal trio e da Giacomo Poretti, e non solo, l’attrice e comica milanese, 60 anni, si racconta in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
L’inizio vero e proprio della professione?
«È stato duro e frastagliato. Mi ero diplomata al liceo linguistico e, per mantenermi e continuare gli studi, ero stata assunta da una ditta che produceva tomaie per le calzature dove, conoscendo un po’ di lingue straniere, dovevo gestire i clienti esteri. Di giorno lavoravo in ufficio, la sera frequentavo la scuola di recitazione. Un andirivieni durato solo un anno perché, quando mi è stato proposto il primo contratto da attrice, nonostante lo stipendiuccio irrisorio, mi sono subito licenziata dal posto fisso… fu grande la preoccupazione dei miei genitori, papà Terenzio faceva l’operaio, mamma Angela casalinga e si sono straniti».
L’incontro con Giacomo Poretti, suo primo marito?
«È avvenuto nella scuola di Busto Arsizio e con lui abbiamo fatto tanti provini per vari spettacoli, ma non venivamo mai scritturati. Ricordo un provino anche al Piccolo di Milano: siamo stati buttati sul palco per recitare non rammento cosa, davanti a una platea vuota. Si vedeva solo una lucetta in fondo alla sala, non un volto umano, poi una voce sconosciuta, al termine della nostra performance, ci liquidò dicendo: grazie, vi faremo sapere… e non ne abbiamo saputo più nulla».
Marina Massironi: “Separazione dal trio e da Giacomo consensuali”
Però non vi siete arresi…
«Assolutamente no! Ci siamo inventati di tutto, abbiamo creato il duo Hansel&Strudel, esibendoci nei cabaret, nei piano bar, nelle pizzerie, nelle discoteche… Facevamo spettacoli per bambini negli asili e, dopo la messinscena, venivamo invitati a pranzo insieme ai piccoli scolari: ci sedevamo su sedie piccolissime, davanti a tavolini bassissimi, davvero divertente. E non solo: ci esibivamo persino nei supermercati».
Addirittura?
«Al microfono facevamo delle promozioni in offerta, per esempio: la settimana del maiale, la giornata della trippa, il pomeriggio del salmone… Quindi, ci inventavamo dei quiz per i clienti che venivano nella nostra postazione e, quelli che indovinavano la risposta giusta, venivano premiati con dei piccoli gadget. Era una sorta di animazione… Poi sono iniziate le serate con Aldo e Giovanni».
Era nato il Trio?
«In pratica sì, ma il Trio, nato per amicizia, era costituito da tre maschi e solo in un secondo momento abbiamo deciso il mio definitivo coinvolgimento, entrando nel cast fisso. Inizialmente ero quella che, nel Trio, andava e veniva… parallelamente ero impegnata anche in altri progetti: con loro mi dedicavo alla comicità, poi andavo a recitare La peste di Camus. Una vera e propria schizofrenia, usando corde farsesche, drammatiche, politiche, grottesche… ».
Marina Massironi: “Addio trio? Non sono pentita ma c’è un fatto curioso”
Si è mai pentita di aver, in seguito, lasciato definitivamente il Trio?
«No, anche perché è stata una separazione consensuale, così come lo era stata quella dal marito Giacomo, con il quale siamo sempre rimasti in ottimi rapporti. Dopo aver interpretato, anche al cinema, la moglie o la fidanzata di Aldo, poi di Giovanni e di Giacomo, ho finito il giro e ho imboccato un altro percorso, con altri film e altri registi. Però la cosa curiosa — aggiunge — è che, a furia di lavorare con loro tre, la gente mi fermava per strada, chiedendomi se ero la moglie di Aldo, Giovanni e Giacomo! Dovevo spiegare che non ero trigama».
[…] Incidenti curiosi quando facevate teatro?
«Innumerevoli. Una volta, durante le repliche di uno spettacolo, Aldo si fa male con un chiodo in camerino e gli viene fasciata una mano. Ma quando torna a casa, il suo cane gli morde l’altra mano… e nei giorni seguenti dovette recitare con entrambe le mani fasciate! Mentre Giacomo una sera, dietro le quinte, si scontra con Aldo e si è rotto il naso…».
Marina Massironi: “Dario Fo una fortuna”
Tra le varie esperienze, una parentesi importante con Dario Fo.
«Ho avuto la fortuna di averlo come autore e regista, per la sua commedia Sotto paga, non si paga!, un mese intero a stretto contatto. Mi incantava la sua fanciullezza, la freschezza, l’energia che trasmetteva, nonostante non fosse più un ragazzo: era come un bambino felice in teatro, con una resistenza incredibile. Non smetteva mai di lavorare e, quando eravamo stremati, lo pregavamo di fare una pausa. Nel periodo in cui partimmo per la tournée, Dario ci mandava regolarmente fax quotidiani, per aggiornare via via il finale della rappresentazione, in funzione della cronaca politica del momento. Se per esempio c’era un politico che aveva combinato qualcosa, ci inviava il testo aggiornato: ogni sera recitavamo una conclusione dell’ultima ora».
Questo lavoro comincia a pesarle?
«Mi pesa stare tanto tempo lontano da casa, più vado avanti nell’età e più mi dispiace essere sempre in giro per le tournée. Oltretutto, da circa 16 anni, con mio marito (Paolo Cananzi, ndr) abbiamo deciso di vivere in campagna, in un piccolo paesino che nessuno conosce, Poggio Torriana, in provincia di Rimini, che non è tanto facile da raggiungere con i mezzi pubblici: non esiste un treno diretto e devo organizzarmi soltanto con la macchina. L’unica cosa che alleggerisce il senso di responsabilità, è non avere figli, di conseguenza faccio meno danni, mi sento meno colpevole per le mie assenze».
[…] Sconfitte e vittorie?
«Sono un tipo ottimista e tendo a rimuovere le sconfitte, che possono trasformarsi in una crescita umana o professionale. Le vittorie? Essere riuscita a fare questo lavoro gratificante, che adoro. Vedo tante persone che, purtroppo, sono costrette a svolgere, per necessità economiche, un mestiere che, pur non rispettando le loro passioni, non possono cambiare. Io sono fortunatissima».
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