Piero Pelù: “In Vietnam feci impazzire il pubblico con un sosia. Io animalisti? Un aspetto mi indigna”. Piero Pelù sul Vietnam e non solo, il cantautore fiorentino, 61 anni, racconta i retroscena del concerto tenuto nel Paese asiatico nel 2007, in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Oltre che viaggiatore lei è notoriamente animalista.
«Mi indigno quando vedo maltrattare gli animali. Ma mi indignai ancora di più nel vedere come i poliziotti vietnamiti maltrattavano i loro compatrioti. La più banale delle violazioni, anche solo il non camminare dritti sul marciapiede, era punita con il manganello elettrico, il taser. C’era gente che era in galera da vent’anni. Ma erano punite con durezza anche le forme più banali di dissenso. Tra l’altro non potevo avere accesso a Internet e ai miei social, anzi l’unico, che all’epoca era MySpace: ero segnalato in quanto sostenitore di Amnesty International».
Un regime.
«Un regime comunista. Su cui si era innescato il capitalismo selvaggio. In Vietnam producevano già beni americani, compresi gli strumenti musicali. Ma la libertà era bandita. A cominciare dal rock. Il nostro sarebbe stato di fatto il primo concerto rock nella storia del Paese».
Com’era il pubblico?
«Il pubblico era diviso in tre blocchi. Nel primo i diplomatici, i dignitari del regime e i loro cari. Poi un cordone di poliziotti ferocissimi, tutti spalle al palco, a controllare la folla. Nel secondo blocco, i biglietti più costosi. Altro cordone di poliziotti altrettanto feroci. E poi il terzo blocco, i biglietti popolari. La piramide sociale, in un Paese teoricamente comunista. Il palco era troppo alto, distanziante: lo facemmo abbassare».
Piero Pelù: “In Vietnam feci impazzire il pubblico con un sosia”
Come andò?
«L’esibizione dei primi gruppi scivolò via senza emozioni. Nonostante il fonico giapponese, il suono era pessimo, mi ricordava il primo concerto della mia vita…».
Quale fu il primo concerto della sua vita?
«I New Trolls, al Parterre di Firenze, nel 1977: mille persone. Poi Guccini: tremila. Quindi Ivan Graziani: cento. Fu un concerto meraviglioso, Graziani disse: “Non sapevo di avere così tanti parenti a Firenze”».
Torniamo ad Hanoi 2007.
«In camerino cominciamo a preoccuparci, quando sentiamo un grido che cresce: “Elo, Elo”, poi “Ielo, Ielo”, infine: “Pielo, Pielo”… Stavano gridando il mio nome».
Ottimo inizio.
«Il bello doveva ancora venire. Ma non ero io. Era il sosia».
Il bassista?
«Non uno qualunque: Barny aveva suonato per i Litfiba e per i Ladri di biciclette; aveva un basso enorme; e soprattutto era il sosia di Ho Chi Minh. I baffi, il pizzetto, persino il cappello: identico ai ritratti che avevamo visto. Il pubblico impazzì. Non si chiese se fosse un omaggio al padre della patria, oppure se fosse lui redivivo, sotto forma di un bassista italiano. Impazzì e basta».
E cosa accadde?
«Anche i poliziotti diedero la schiena al pubblico e si girarono verso il palco. Noi ovviamente non ci risparmiammo e ci demmo dentro: Tribù, El Diablo, le canzoni più rock e anche le più ballabili. La carica partì dal fondo. Il terzo settore travolse il cordone e invase il secondo. Poi tutti insieme sfondarono l’altro cordone, e si ritrovarono con i Vip a pogare sotto il palco. La piramide sociale si era capovolta. Suonammo per due ore, sotto la pioggia monsonica, in un’atmosfera insieme folle e mistica».
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