Enrico Beruschi: “Le ragazze di Drive In volevano denunciarmi. Sanremo? Mike Bongiorno dietro le quinte mi disse una frase”. Enrico Beruschi sulle ragazze di Drive In e non solo, l’attore e comico milanese, 71 anni, racconta alcuni aneddoti della sua carriera in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
[…] Si diplomò ragioniere per la gioia di mamma Clara.
«Ricevetti 34 offerte di lavoro. Scelsi il Credito italiano perché la Banca Commerciale voleva assumermi dal 15 di agosto, eh no. Ci rimasi due anni, poi partii militare, ricominciai vendendo enciclopedie, prima di sistemarmi al biscottificio Galbusera, giovane e severissimo capufficio. Qualche anno fa ho rincontrato un mio vecchio venditore: “Ci terrorizzavi tutti”».
Compresa la sua futura moglie Adelaide.
«La segretaria più carina, io il capo più brutto. Quando mi presentai pur di non darmi la mano finse di starnutire. Un giorno che l’avevo rimproverata si mise a piangere, mi fece tenerezza, così mi offrii di accompagnarla alla stazione. La Cinquecento era piccola, cambiando marcia le sfiorai la mano e… e siamo sposati da 48 anni».
Il debutto al Derby.
«Ci andavo spesso, ma restavo in piedi per non pagare la consumazione. Il patron Walter Valdi mi arruolò così: “Ti, faccia di m…, dicono che sai far ridere, cominci domani”. Mi presentai con tre barzellette, una era quella dei due contrabbandieri travestiti da mucca».
La paga era di…?
«Di 4 mila lire al giorno, tipo dieci euro. Otto ore in ufficio, due di sonno, poi la sera sul palco, il mattino dopo di nuovo in Galbusera. Teo Teocoli mi chiamava Biscottino. Due anni dopo mi licenziai».
Nel 1977 sbucò a «Non Stop» con I Gatti di Vicolo Miracoli, La Smorfia (Massimo Troisi, Enzo Decaro, Lello Arena), poi Carlo Verdone, Zuzzurro e Gaspare.
«Eravamo tutti comici sconosciuti, io il più vecchio, non avevamo una lira, la sera mangiavamo in una trattoria di Torino dove si spendeva poco, vicino agli studi Rai. Massimo, Enzo e Lello parlavano solo napoletano. “Se riuscite a dire almeno una frase in italiano, con le e belle aperte, giuro che pago io il conto”, gli proponevo, niente da fare».
Enrico Beruschi: “Le ragazze di Drive In volevano denunciarmi”
A «Luna Park», 1979, c’era Beppe Grillo.
«Alloggiavamo nello stesso residence, si usciva a cena e pagavamo sempre noi, anche per venti. Così una sera gli dissi: “D’ora in poi mangiamo a casa”. Io facevo la spesa, Beppe cucinava porcherie».
Al Festival di Sanremo con: «Sarà un fiore/Peccato che non sa telefonare/Che tante cose ti vorrebbe dire/Marisa dai non chiedermi cos’è».
«Ero fuori posto, non sapevo niente di musica, non conoscevo nessuno, alle prove facevo passare tutti avanti. La sera della finale Mike Bongiorno dietro le quinte mi avvisò: “Resta vestito che sei terzo”. Così rimasi in smoking bianco, poi arrivai quinto».
Nel 1982, concerto di Liza Minnelli a Milano, l’incontro con Silvio Berlusconi.
«Mi chiamò: “Uè, Enrico! Adesso ho una tv, fatti vivo”. Con Ricci e Nicotra ci siamo chiusi in un ufficio a Milano 2, con le poltroncine incellofanate. Ed è nato Drive In».
I funzionari non volevano mandarlo in onda.
«Portammo la pizza con il numero zero a Berlusconi, in via Rovani. “Lasciatela lì, intanto andate a pranzo”. Quando siamo tornati l’aveva già guardata con segretarie, guardie giurate, addetti alle pulizie. Era piaciuto, via libera».
D’Angelo il titolare, Greggio l’aiutante, lei lo stralunato cliente che corteggiava la formosa cassiera Carmen Russo: «Signorina, mi piacciono le sue idee». E intorno le ragazze Fast-Food.
«Che volevano denunciarmi: sono stato l’unico a non averle mai tampinate».
[…] Disavventure di scena?
«Ero vestito da sposa, dovevano tirarmi addosso non riso ma ravioli, duri come sassi, uno mi centrò un occhio. “Ti portiamo al pronto soccorso”. “In abito bianco?”. Una volta Margherita Fumero doveva picchiarmi con un ananas di gomma. Qualcuno lo sostituì con una noce di cocco, lei non se ne accorse. Bam. Randellata. Fortuna che avevo ancora un po’ di capelli».
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