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Spettacolo

Raf: “Mia moglie? Pensava fossi str*** invece ero imbranato. I miei genitori mi credevano drogato, poi in tv…”

Raf: “Mia moglie? Pensava fossi str*** invece ero imbranato. I miei genitori mi credevano drogato, poi in tv…”. Raf sulla moglie e non solo, il cantautore pugliese, 62 anni, si racconta ripercorrendo le tappe della sua vita privata e professionale in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Sempre stato così introverso?
«Sì. E sono migliorato, eh. Da ragazzino invece ero un disastro. Mi vergognavo, con guance e orecchie paonazze, non riuscivo a parlare, farfugliavo, dicevo sempre la cosa sbagliata».

Povera stella, succede.
«Non mi aiutava avere un padre molto severo, però a quei tempi lo erano tutti. Bastava un niente e volava lo scappellotto. A casa, a me e mio fratello, ci faceva filare. Non voleva che giocassi a pallone, se per caso mi beccava in strada in piena partitella erano guai».

[…] A 9 anni restò folgorato dai Beatles.
«Vidi un loro film sulla Rai, c’erano sì e no due canali. Decisi che volevo diventare come loro».

E quindi?
«Presi lezioni di piano dalla vicina, di chitarra da mio cugino. A 13 anni con la prima band suonavamo rock progressivo, i Jethro Tull, I King Crimson, ma anche il liscio a matrimoni e cene danzanti. Portavo i capelli lunghi e mi scambiavano per una ragazzina».

A Firenze ci andò seguendo il primo amore.
«Sabrina. Ma a quei tempi “fidanzata” era una parola da vecchi. Durò meno di sei mesi. Intanto però, con Ghigo Renzulli, futuro Litfiba, fondammo i Cafè Caracas, da una vecchia insegna di un bar appesa nella casa del Quattrocento in cui vivevo».

Mamma Luigia le spediva il famoso «pacco da giù» con salumi, friselle e verdure sott’olio?
«All’inizio no, perché i miei non erano per niente d’accordo con la mia scelta. Mi mandava qualche soldo di nascosto. Con il tempo sono arrivati pure i barattoli».

Si erano rassegnati a un figlio un po’ così.
«Gli arrivavano le voci più assurde, si erano convinti che fossi un matto debosciato dedito all’alcol e alle droghe, capirai, al massimo qualche canna. La prima volta che mi hanno visto in tv, presentato come una star internazionale, sono rimasti esterrefatti: mamma piangeva, papà restò impietrito».

Raf: “I miei genitori mi credevano drogato, poi in tv…”

A Londra, per poter suonare, faceva il cameriere.
«Nemmeno quello, perché non parlavo bene l’inglese. Ero fermo a «the cat is on the table» e delle ordinazioni non capivo niente. Perciò mi confinarono in cucina, caricavo e scaricavo la lavapiatti. Poi, diventato più bravino, ho fatto il commesso in un negozio di abbigliamento».

Però «Self Control» la scrisse in inglese.
«E dopo chiesi al mio amico Steve Piccolo di rileggere il testo, onde evitare strafalcioni. Cambiò giusto due cosine e firmò la canzone con me e Giancarlo Bigazzi. Quando compongo un pezzo, anche oggi che canto in italiano, lo butto giù in un inglese maccheronico, giusto per catturare il suono».

[…] «Non avevo più amici, tutti mi guardavano in maniera strana», ha raccontato.
«Ero scontroso, scorbutico, perché mi sentivo fuori posto. E mi ritrovai più solo. Quando hai successo, sono gli altri che spesso ti vedono diverso. “Ora che è famoso non è più uno di noi”, pensano. E tu non sai mai se la gentilezza di una persona nei tuoi confronti è reale o falsa».

Raf: “Mia moglie? Da lei ho imparatoun aspetto”

Con «Si può dare di più» (1987) ha vinto Sanremo per interposta persona: la scrisse lei, ma al Festival, in trio con Gianni Morandi e Umberto Tozzi ci andò Enrico Ruggeri.
«Ero legato da un contratto, non sono riuscito a liberarmi in tempo. E poi ero ancora a disagio a cantare in italiano. Pure quella l’avevo scritta in inglese, si intitolava qualcosa tipo «Celebration of my heart», nel mio solito inglese approssimativo. E no, non mi sono pentito, dopo pochi mesi è cambiato tutto: io e Umberto siamo andati all’Eurofestival con Gente di mare».

Terzi classificati. E amici da sempre e per sempre.
«Ci conoscevamo dai tempi di Firenze, quando lavoravo con Bigazzi come producer. Per dieci anni a Roma siamo stati vicini di casa, facevamo le vacanze insieme. Come quando siamo andati in settimana bianca sulle Dolomiti e, dopo le discese, ci fermavamo a mangiare nei rifugi. Prima di tornare a valle sugli sci un po’ alticci… zigzagando in pista… più che altro rotolando».

D’amore e d’accordo anche in tour.
«Un tour lunghissimo, eppure lo rifarei cento volte, perché con Umberto mi diverto come un pazzo, ogni tanto ha la luna storta, capita, però è simpaticissimo. Con lui poi non scatta nessuna competizione sul palco se uno dei due ha cantato un pezzo in più, zero problemi, solo allegria».

Un difetto lo avrà.
«È ritardatario, perché è lentissimo. Per farsi la doccia ci mette una vita, anche a tavola mangia con somma calma, gli altri hanno finito e Umberto è ancora al primo. Lui, peraltro, mi rimprovera la stessa cosa, dice che il ritardatario sono io. E a volte è vero».

Raf: “Mia moglie? Pensava fossi str*** invece ero imbranato”

[…] Sua moglie Gabriella Labate — miss «Sei la più bella del mondo» — l’ha conosciuta nel…
«…nell’87, credo».

Voi uomini con le date, si sa, non andate d’accordo.
«Ero a Saint Vincent, lei faceva parte del corpo di ballo. Aveva i capelli legati, un maglione con la cinta in vita, niente di speciale, eppure l’ho notata subito. Mi sembrava in effetti di averla già vista. Più tardi mi sono messo a provare da solo sul palco davanti alle sedie vuote. A un tratto arriva lei e si siede. Mi fissa. Mi cade la sigaretta. Mi cade lo spartito. Le stavo antipatico, credeva fossi un montato. Lì però ha capito che ero soltanto imbranato e timido, non str…. Dopo l’ho invitata a cena. “Se mi vuoi raggiungere…”».

Le ha dato buca.
«Perché ha finito tardi. Però avevo lasciato un biglietto per lei al proprietario del ristorante. “Ti ho aspettato finora, purtroppo non sei venuta. Questo è il mio numero, se ti va, chiamami”».

Ha funzionato?
«Mi ha telefonato qualche giorno dopo, ci siamo rivisti a Napoli e lì mi è venuto in mente dove l’avevo già vista: durante uno show tv, mentre cantavo, c’erano delle ballerine che scendevano da una scalinata e mi passavano accanto. Mi sorridevano tutte, tranne lei. Però da quella volta non ci siamo più lasciati. Gabriella mi ha insegnato a non avere paura di aprirmi con le persone. Cerco di copiare lei, così diretta e sincera».

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