Luca di Montezemolo: “Io figlio di Agnelli? Ecco la verità. Enzo Ferrari mi ha insegnato due cose. E sui matrimoni…”. Luca di Montezemolo figlio di Agnelli? Il manager è imprenditore bolognese, 74 anni, si racconta ripercorrendo la sia vita privata e professionale in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Luca di Montezemolo, qual è il suo primo ricordo?
«Il vestito della domenica. E le gite fuori porta in Vespa, attraversando una Bologna ancora semidistrutta dalla guerra: papà alla guida, mamma dietro, io in mezzo, ovviamente tutti senza casco».
Com’era la sua famiglia?
«Vengo da due famiglie molte diverse. I Montezemolo sono piemontesi, aristocratici, militari. Mio nonno era il comandante di Bologna. Suo fratello, mio prozio Giuseppe, fu un eroe della Resistenza, ucciso alle Ardeatine».
[…] Mario Draghi. Com’era?
«Ero in classe con Gianni De Gennaro, il futuro capo della polizia. Draghi era in un’altra sezione. Un ragazzo molto serio, con la passione per la pallacanestro. I gesuiti furono un’ottima scuola. Anche di fede».
Lei ha fede?
«Molta. Quando mi sento sfiduciato, mi chiudo tre giorni nel santuario della Verna, dove san Francesco ricevette le stimmate; e quando ne esco sono un altro uomo».
Lei è considerato un uomo di comunicazione, di pubbliche relazioni.
«La verità è che io nella vita mi sono fatto veramente il culo. Ho lavorato tantissimo. Di sabato, di domenica. Alla Ferrari ho rivoluzionato la gamma dei modelli, rifatto la fabbrica, decuplicato il fatturato, vinto 19 mondiali tra costruttori e piloti…».
Luca di Montezemolo: “Enzo Ferrari mi ha insegnato due cose. E sui matrimoni…”
Come conobbe Enzo Ferrari?
«Quando nel ’68 le università erano occupate, Cristiano e io ne approfittammo per correre i rally. Eravamo bravini, fui preso dalla Lancia. Un giorno ero ospite in radio: “Chiamate Roma 3131”, condotta da Boncompagni. Chiamò un ragazzo per dire che l’automobilismo era uno sport per ricchi; io risposi che non era vero, che Bandini era figlio di un meccanico… Il caso volle che Ferrari stesse ascoltando. Telefonò: “Lei ragazzo ha gli attributi, venga a trovarmi».
[…] Di Ferrari raccontano fosse un uomo molto duro.
«Aveva le sue manie: non è mai venuto a Roma in vita sua, non ha mai preso un aereo o un ascensore, quando cedette la Ferrari all’Avvocato la firma si fece al pianterreno di corso Marconi. Ma era un uomo straordinario. Mi ha insegnato due cose: non arrendersi quando le cose vanno male; chiedere sempre di più, a se stessi e ai collaboratori, quando le cose vanno bene. Aveva un talento naturale per il marketing: il cavallino di Baracca, le auto tutte rosse, l’accortezza di far aspettare anche se la macchina era pronta. Ogni tanto arrivava in treno da Roma il decano dei concessionari, e ripartiva con l’auto per il cliente. Era Vincenzo Malagò, il papà di Giovanni; una volta andò via con una Rossa per Mastroianni. La Ferrari per Enzo era come una donna bellissima, che si fa desiderare».
Luca di Montezemolo: “Io figlio di Agnelli? Ecco la verità”
[…] Com’era l’Avvocato?
«Diverso da come lo raccontano. Ad esempio era molto italiano».
Cosa intende?
«Amava il calcio, le auto. Non era affatto disinteressato al cibo: la prima volta che da ragazzo andai a trovarlo all’Argentario parlammo dell’olio toscano, quando veniva a Roma andavamo a Fregene a mangiare il pesce. Era anche lui un po’ superstizioso. Soprattutto, era legatissimo a Torino, al Piemonte. E voleva essere il primo promoter dell’Italia in America, nel mondo».
Nacque la leggenda che lei fosse suo figlio.
«In famiglia ne sorridevamo: “Mamma, cos’hai combinato?”. È vero però che per me è stato come un padre. Mi ha trasmesso la curiosità per gli uomini, per il mondo, per l’arte contemporanea: la pop art e l’arte povera, Lichtenstein e Alighiero Boetti, Warhol e Pistoletto… A Torino abitavo sulla sua stessa collina, qualche tornante sotto. Ogni tanto mi chiamava: “Vieni a vedere il secondo tempo di un film?”. Avvocato, ma perché il secondo tempo? “Va bene, vediamo il primo, poi andiamo a dormire”».
Dopo la Ferrari la chiamò in Fiat.
«A riorganizzare le relazioni esterne. Poi a dirigere la Cinzano. E a lanciare l’operazione Azzurra: un caso incredibile di marketing nazionale».
Ma lei entrò in urto con Romiti, che non era certo un suo estimatore.
«Abbiamo avuto alti e bassi. Romiti non era una persona facile, come hanno sperimentato anche uomini del calibro di Ghidella e De Benedetti. Io poi ho dovuto pagare il rapporto stretto che avevo con l’Avvocato. Però fu Romiti, su suo input, a telefonarmi nel 1991 per propormi di tornare in Ferrari. Temevo mi volesse come direttore sportivo, e mentre parlava pensavo a una scusa per dire no».
Invece la fecero presidente e amministratore delegato.
«I dipendenti erano in cassa integrazione. Venne a trovarmi uno dei tre grandi che mi hanno sempre ispirato, Ralph Lauren, un genio del marketing…».
[…] Alla presidenza della Juventus non era andata altrettanto bene.
«Fu un errore dire di sì. Dopo l’avventura bellissima di Italia ‘90, non ne potevo più del calcio, di stadi, partite, arbitri… Ma non potevo rifiutare. E poi l’Avvocato si era infatuato di Maifredi. Era il tempo del Milan di Sacchi, e lui in fondo aveva sempre amato il bel gioco: Sivori, Platini, Maradona, Baggio».
Luca di Montezemolo: “Io figlio di Agnelli? A casa ci ridevamo su”
Nel 2000 l’Avvocato fu il testimone delle sue seconde nozze.
«Arrivò un bellissimo piatto d’argento, lo chiamai per ringraziarlo. Rise: “Quello sarà il regalo di Marella. Il mio lo trovi dal concessionario Ferrari di Bologna”. Era una 360 barchetta, senza tetto e senza vetro, disegnata apposta da Pininfarina. Lascerò scritto che non si potrà mai vendere».
[…] Anche con Marchionne lei ha avuto un rapporto difficile.
«Eravamo seduti vicini in consiglio d’amministrazione, e ci stavamo simpatici. Insieme bloccammo Morchio quando voleva cancellare il marchio Panda, una follia. Dopo Morchio, la scelta dell’amministratore delegato era tra Marchionne e Bondi, grande ristrutturatore. Scegliemmo Marchionne».
[…] La sua presidenza di Alitalia non andò altrettanto bene, anzi.
«Accettarla fu un errore, commesso per generosità. Prima Letta, poi Renzi mi chiesero di far di tutto per convincere Etihad a prendere Alitalia. Gli sceicchi dissero sì, ma poi vollero che facessi il presidente. Sbagliai, proprio perché non sono un uomo di rappresentanza, ma uno abituato a fare, a decidere».
[…] Il suo primo matrimonio fu annullato dalla Sacra Rota. Come mai?
«Perché avevo sposato una signora in parte di origini americane, con una mentalità divorzista: vediamo come va, al limite ci separiamo. Ci separammo. Ma non mi faccia parlare di cose familiari».
Tra meno di un mese si vota, e vincerà la destra. È un pericolo per l’Italia?
«Sono molto più preoccupato per il dopo elezioni, con una politica che non perde occasioni per aumentare il distacco con famiglie, giovani, imprese anche in questa campagna elettorale fatta di parole, promesse irrealizzabili, politici nominati dai partiti, pochissimo spazio alla società civile».
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