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Riccardo Fogli: “Addio ai Pooh? Volevano impormi un aspetto. Vengo dalla povertà ma non ho mai avuto il complesso della ricchezza”

Riccardo Fogli: “Addio ai Pooh? Volevano impormi un aspetto. Vengo dalla povertà ma non ho mai avuto il complesso della ricchezza”. Riccardo Fogli sull’addio ai Pooh e non solo, il cantante toscano, 75 anni, sì racconta in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] Com’era da bambino Riccardo Fogli?
«Sono cresciuto attaccato alla gonna della mamma perché a casa mia non c’era niente a parte la povertà: niente giocattoli, né una bicicletta. Lei ascoltava la radio mentre lavorava a maglia: prendeva un saccone di maglie da una ditta e faceva gli occhielli che le macchine da cucire, al tempo, non facevano. Quando siamo andati a vivere vicino alla chiesa facevo il chierichetto e poi passavo il pomeriggio all’oratorio, da bimbino normale. All’oratorio inizi a frequentare quelli più grandi, le prime parolacce, i ragazzi per bene e quelli meno. Io avevo vissuto sotto una campana di vetro e nessuno mi aveva insegnato a distinguere il bene dal male».

Eravate una famiglia molto povera, cosa può insegnare la sua esperienza alle nuove povertà, a chi dice che viviamo in una società in disfacimento?
«La differenza con l’epoca è che noi non conoscevamo la ricchezza, quel tipo di povertà non mi spaventava. Ero un bambino felice. Non ho mai avuto il complesso della ricchezza e della povertà, quello che mangiavo era sempre buono perché mia mamma sapeva cucinare con quello che c’era. Ma so che se oggi dovessimo togliere ai nostri figli e nipoti l’iPhone, l’ultimo aggeggio tecnologico, i vestitini belli o i 20 gradi di aria condizionata in casa, sarei in difficoltà anch’io».

Riccardo Fogli: “Vengo dalla povertà ma non ho mai avuto il complesso della ricchezza”

Ha fatto l’operaio alla Piaggio e il gommista in Maremma. Lavori che oggi si dice non ci sia più nessuno disposto a fare…
«In fabbrica dai 14 ai 18 anni, sì. E cercavo di fare più straordinari possibile per migliorare la qualità della mia vita. Non me li chiedevano nemmeno, mi proponevo io, anche di sabato, solo per poter comprare il motorino con cui andare dal maestro di musica Santarnecchi a Montecarboli che era distante 5 chilometri in salita. Dopo otto ore in fabbrica tornavo a casa, facevo merenda e prendevo la bici con in braccio la mia chitarrina senza le corde del sì e del mi per farla diventare quasi un basso, sul quale mi faceva studiare. Ma i soldi li davo tutti alla mi’ mamma che un giorno mi trovò un cinquantino che costava 10 mila lire e consumava più olio che miscela, facendo un gran fumo, ma mi faceva felice».

[…] Che rapporto ha con il denaro? Spesso chi ha avuto un’infanzia di ristrettezze ha una visione diversa rispetto agli stereotipi delle pop star.
«I soldi danno da mangiare. Punto. Ma il possesso compulsivo è una dannazione. Possedere una casa di proprietà è sempre stato il sogno della mia famiglia e non lo hanno mai realizzato. I miei mi hanno insegnato due cose sul tema del denaro: a non avere debiti e ad andare in giro sempre a testa alta».

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E il rapporto con la creatività invece? Col passare degli anni, cosa la ispira, dove guarda, come sogna?
«Ho iniziato a scrivere poesie per far colpo sulla biondina con le treccine che mi faceva battere il cuore a scuola: erano frasi infantili piene di tenerezza ma già al tempo ponevo molta attenzione nella scelta dell’aggettivo giusto. Poi ho iniziato a farmi ispirare da quello che leggevo: la lettura che incontri, come la musica, non è mai casuale, dà un indirizzo al tuo cuore e alla tua testa, e modifica il percorso della tua sensibilità, ci trovi la fede, la bontà, la dolcezza.

Ho preso il diploma di ragioneria a 60 anni, per far piacere a mia madre, e ho dovuto reimparare a studiare. Ma vivo da sempre circondato da libri, prima Tex Willer e Topolino, poi letture sempre più complesse a cui via via ispirarmi per scrivere di volta in volta Malinconia o Storie di tutti i giorni, quest’ultima pensata dopo aver letto ‘A livella di Totò. Sono da sempre convinto che sono le idee che alla fine ti salvano e ti guidano e infatti ancora oggi quando leggo tengo sempre la penna in mano, per prendere appunti e nutrirmi di quello che ha scritto un altro».

La sua prima esperienza musicale è con gli Slenders, band di “capelloni metalmeccanici” come li ha definiti, una specie di “Maneskin piombinesi”.
«Il paragone con i Maneskin ovviamente era un gioco detto col massimo rispetto per gli straordinari Maneskin, per il fatto che noi nel 1964 giravamo col jack in mano, lo infilavamo nell’amplificatore i iniziavamo a suonare senza tanti fronzoli. Non eravamo fichi come loro ma sicuramente eravamo il gruppo di metalmeccanici più fichi d’italia, e forse del mondo, dopo i Beatles… Perché immagino che anche loro a Liverpool un bel po’ di carbone lo avranno respirato».

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Poi, ovviamente, i Pooh. Con cui ha fatto la storia.
«Tutti quelli che hanno 50-60 anni sono cresciuti con le canzoni dei Pooh e con le mie. E ora che il gruppo non c’è più, ti rimangono nel cuore e ti aiutano a vivere. Tutti abbiamo avuto almeno una storia d’amore che somiglia a una canzone dei Pooh. C’era una capacità profetica nel parlare d’amore che è ciò che deve fare uno scrittore: leggerti dentro l’anima. Anche se sono passati tanti anni tra noi ci chiamiamo ancora “fratelli” anche se da fratelli ci sono momenti in cui la si pensa diversamente. Ricordo ancora le migliaia di persone disperate quando ci siamo sciolti, avrebbero dato un pezzo di vita pur di convincerci a rimanere insieme».

Fu la sua storia d’amore con Patty Pravo la scintilla che fece esplodere la band.
«Il nostro produttore pensava che il mio amore con Patty ci avrebbe danneggiato. Ma non sarebbe successo. Quando ho detto ai miei fratelli che non permettevo a nessun di decidere quali donne avrei dovuto frequentare e quali no, è venuto giù il mondo. Mi è costato molto ricominciare da capo, rinunciare a un patrimonio di 7 anni insieme. Ma la mia libertà era più importante, non permetto a nessuno di appiccicarmi al muro e dirmi cosa devo fare della mia vita: “Pensate alle vostre di fidanzate e non alle mie”, gli dissi. Poi decisi di andarmene via e buonanotte. In quello studio di registrazione ho lasciato successo, denaro, sicurezza, per andare in cerca della mia storia. Ma i ragazzi mi sono mancati tanto e forse, spero, anch’io sono mancato a loro».

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