Fallimento Banca Etruria, chiesto maxi risarcimento agli ex dirigenti
Un risarcimento di circa mezzo miliardo di euro. E’ la richiesta agli ex vertici di Banca Etruria da parte del liquidatore, che ha fatto i conti dei “danni causati dalla loro cattiva gestione”. Le persone chiamate in causa sono 37 e tra queste c’è anche Pier Luigi Boschi, padre del sottosegretario Maria Elena. Quasi la metà di quei soldi sarebbero dovuti alla mancata fusione con la Popolare di Vicenza.
“Una banca portata allo sfacelo” – Un’operazione, quest’ultima, che non venne portata a termine nonostante ci fosse un’offerta d’acquisto sotto forma di Opa, giudicata vantaggiosa dal liquidatore, Giuseppe Santoni. Che accusa gli amministratori di aver condotto la banca “letteralmente allo sfacelo sotto il peso di errori madornali”. La richiesta avanzata ha già ricevuto l’ok di Bankitalia e segue le multe per 2 milioni e 750mila euro già inflitte dalla Consob a circa 30 ex manager della banca per violazioni di diverse disposizioni del Testo unico di finanza.
Sono davvero pesanti le parole nell’atto di citazione per conto del commissario liquidatore. Si parla di “una incredibile storia di mala gestione ai danni della società, dei suoi creditori, dei risparmiatori e della credibilità del sistema bancario italiano”, scrive la “Repubblica”.
I danni – Nel dettaglio, ai 37 dirigenti si chiederebbero 464 milioni, al revisore Price Waterhouse Cooper spa altri 112, dal momento che la società, dice Santoni, “ha sempre espresso giudizi positivi, senza mai formulare rilievi”.
L’accusa parla della “dissennata erogazione di crediti senza garanzie nell’intento di agevolare soggetti legati agli ex esponenti aziendali”. Sono soldi usciti dalle casse della banca e mai rientrati del tutto. Il liquidatore ritiene che soltanto questo fronte valga 112 milioni di euro. In questo filone rientrerebbe un maxiprestito alla Sacci spa, il cui amministratore delegato era Augusto Sacci, anche consigliere di Etruria: per questa operazione si richiedono 38,9 milioni. E poi ci sono i crediti concessi alle aziende clienti dello sutdio professionale del consigliere Luciano Nataloni, commercialisti. Quei soldi, si legge sui documenti, furono erogati “senza seguire le procedure standard”.
Insomma, una serie di operazioni che risultano, dice l’atto depositato, una “incredibile serie di erogazioni di favore e in palese conflitto di interessi, ovvero dissennate e inutili”, in una “paradossale corsa verso l’abisso”. Il liquidatore individua nella gestione della banca “una strategia basata su rimedi estemporanei e di dubbia legittimità con il frettoloso ‘piazzamento’ delle note obbligazioni subordinate ai risparmiatori che sono state successivamente e necessariamente azzerate”. E qui il riferimento è alla messa in liquidazione della banca con il decreto di novembre 2015, quando migliaia di cittadini persero i loro soldi.
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