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Sconcerti: “Crisi Calcio italiano legato a due fattori. Ecco perché non produciamo più”

Sconcerti: “Crisi Calcio italiano legato a due fattori. Ecco perché non produciamo più”. Chi si aspettava una rinascita del Calcio italiano dopo la vittoria dell’Europeo, ha dovuto fare i conti in questi giorni con la dura realtà. Nelle competizioni continentali, infatti, c’è da registrare l’ennesimo Florida delle squadre di Serie A. Ma cosa succede al Calcio italiano? A ipotizzare una ‘diagnosi’ al mal d’Europa dei club nostrani, è Mario Sconcerti attraverso un editoriale pubblicato su ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

“[…] Punto primo: la diversità del calcio italiano è sempre stato essere un ponte tra il grande football sudamericano e quello nord europeo. C’era infatti un calcio all’italiana, nato non sulle spiagge oceaniche ma nelle strade di periferia, in spazi stretti, dove per muoversi non serviva correre, ma gestire il pallone. Quella gestione annullava la corsa e il fondo dei nord europei. Oggi è in crisi tutto il Sud America, quindi siamo oggi il ponte sul niente. Resta solo il modello nord europeo, che non è più un modello atletico ma di ricchezza.

I soldi hanno cancellato i confini, oggi il grande calcio è mescolanza, l’insieme dei migliori di qualunque razza. La metà dei giocatori inglesi è di origine africana. I neri dell’equatore hanno portato abilità più tecnica, sono diventati dei piccoli eroi mescolati alla vecchia ragion d’essere europea. Hanno costruito il mix ideale di un calcio nuovo. L’Italia ha ancora poca mescolanza, gli africani che arrivano sono seconde scelte. Questo porta a un altro problema, la nostra nuova povertà.

Non possiamo più permetterci i migliori né abbiamo la possibilità di scegliere per primi. Oggi i giocatori del mondo sono catalogati in programmi costosi ma stracolmi di dati. Se cercate non solo una buona mezzala, ma che abbia anche gli occhi celesti, sia cattolica, ancora celibe e mancina, alta un metro e novanta con diploma liceale e una fidanzata di nome Wanda, non avete che da premere un tasto e arriveranno sullo schermo una trentina di nomi con annessi decine di video da compulsare. A noi però toccherà sempre la seconda scelta. Nessuno scopre più nessuno. Tutti conoscono. È sempre soltanto una questione di prezzo.

Resta un problema molto italiano: perché non siamo più produttori di buon calcio? Perché non nascono più campioni? Dove si fermano? Come prima causa, abbiamo perso la nostra identità. Ci siamo vergognati di un calcio all’italiana. Oggi giochiamo come la Spagna venti anni fa, dieci prima di Guardiola. E lo chiamiamo calcio moderno. In sostanza siamo disorientati. Non abbiamo più una cultura, un punto di appoggio.

I giocatori sono addestrati non a fare gioco, ma passaggi sul compagno più sicuro, fino a tornare dal portiere. Questo lo chiamiamo possesso palla e ci siamo convinti che è una grande qualità. Ma non c’è nessun riscontro statistico. Amiamo non la ricerca del gol, ma la ricerca di un pertugio tra venti uomini per provare ad arrivare in porta. Quello che facevano Messi e Ronaldo senza avere noi né Messi né Ronaldo. Non abbiamo più un’identità, una frase nostra. Abbiamo trovato il banale e l’abbiamo chiamato progresso.

Conclusione: noi non siamo né i più fisici né i più tecnici. Viviamo di idee tattiche che riportano spesso idee di maestri già vecchie di anni. Lontani dal Sud America e dall’esuberanza africana, siamo degli orecchianti che non trovano la melodia. In sintesi, non sappiamo cosa cerchiamo perché non sappiamo più cosa siamo. Il calcio è semplice come un’idea semplice. Ma un’idea nostra bisogna pur averla”.

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