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Santo Versace: “La morte di Gianni uno shock. Accuse di mafia perché cslabresi. Il paradiso lo immagino come la Calabria”

Santo Versace: “La morte di Gianni uno shock. Accuse di mafia perché cslabresi. Il paradiso lo immagino come la Calabria”. Santo Versace sulla morte di Gianni, il fratello, e non solo, l’imprenditore calabrese, 80 anni, ripercorre le tappe della sua vita in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Santo Versace compie 80 anni, ma scherza: «In realtà sto per fare 20 anni per la quarta volta». Sua moglie Francesca tiene molto alla sua salute, tanto che di recente ha fatto una risonanza magnetica al cervello: «Il medico mi ha detto che neppure un trentenne ce l’ha così. È genetica: ho preso da mio padre». Si dice sereno e soddisfatto, vivendo «la stagione più bella», consapevole di aver attraversato quattro vite.

La prima vita si è svolta a Reggio Calabria, dove è nato e cresciuto come primogenito. «Ero il primogenito, per un po’ siamo stati da soli io e Gianni. Poi è nata Donatella: i nostri genitori la chiamarono così perché era un dono. Due anni prima era morta la nostra sorellina Tinuccia. Mia mamma pregava e piangeva tutti i giorni: finché non arrivò Donatella. Mi mandò a bussare alle case di parenti e amici per dire che era nata». Ricorda con affetto quel periodo, segnato anche dal lavoro precoce accanto al padre: «A sei anni lavoravo con mio padre, spalavo il carbone. Credo che alcuni mestieri vadano insegnati da piccoli, se c’è l’attitudine». E riflette su come l’Italia, un tempo eccellente nelle scuole tecnico-industriali, oggi non dia abbastanza spazio ai giovani che vogliono imparare un mestiere.

Santo Versace: “La morte di Gianni uno shock”

Gianni, suo fratello, ha mostrato il proprio talento creativo sin da giovane, crescendo nella sartoria di famiglia: «Diceva di avere 20 mamme, che erano le sarte che lavoravano con noi: era tutto un ‘Giannino, Giannuzzo…’». Santo, invece, ha seguito un percorso accademico diventando commercialista, ma nel 1972 ha iniziato a occuparsi a tempo pieno degli affari di Gianni. «Ricevette una proposta di lavoro da Florentine Flowers quando Donatella andava ancora a scuola. Fui io a trattare il suo compenso, chiedendo 4 milioni, lo stesso di Walter Albini, lo stilista più in auge. Mi dissero di sì: il 4 febbraio del 1972 è partito dalla Calabria. E un anno dopo l’ho raggiunto».

Con l’arrivo a Milano, ha avuto inizio la seconda vita, quella della costruzione del marchio Versace. «Mio padre mi diceva: “Ma dove vai, qui hai lo studio avviato, c’è il sole, il mare”. Gli faceva da controcanto nostra madre: “Non lasciare da solo tuo fratello”». Nel 1976 è nato ufficialmente il marchio Gianni Versace, un progetto carico di entusiasmo: «Ci siamo detti: “Se abbiamo fortuna faremo meglio di Saint Laurent”. E così è stato. L’unione è stata la nostra forza». Ripensa al successo e ai contrasti stilistici dell’epoca: «Gianni vestiva le donne che volevano splendere e conquistare, Armani quelle che volevano un power-suit».

Il legame con Gianni era profondo e privo di conflitti: «Io e mio fratello non avevamo segreti, parlavamo di tutto». Non mancavano, però, momenti particolari, come quando Gianni gli chiese di cambiare la serratura di casa per chiudere con un fidanzato: «Lo feci. Per lui ero un problem solver: poteva contare su di me». E sulla sua omosessualità, Santo precisa: «Era una cosa che sapevamo da sempre, non ci fu bisogno di fare outing».

Santo Versace: “Il paradiso lo immagino come la Calabria”

Anche il rapporto con Donatella è speciale: «È mia sorella, le voglio bene. Mi ha inviato 100 rose bianche per il compleanno». Santo ha avuto un ruolo importante nella sua vita, fungendo quasi da padre: «Nel suo libretto delle giustificazioni del Ginnasio c’era il mio nome e cognome, le firmavo io».

La morte di Gianni nel 1997 segna l’inizio della terza vita, un periodo difficile: «Uno shock: eravamo a Roma, non ci credevo. Solo quando arrivai a Miami e toccai la sua testa insanguinata mi resi conto di tutto». Dopo il delitto, è stato necessario difendere l’azienda da speculazioni e accuse infondate: «Le banche d’affari ci davano per falliti e dovevamo persino respingere le accuse di mafia. Litigai con Gianni Barbacetto: se fossimo stati di Voghera come Valentino non avrebbe mai insinuato una cosa del genere».

Ora, nella quarta vita, Santo guarda al futuro con fede: «Credo fermamente nell’Aldilà e prego per andare in Paradiso». E se lo immagina «come la Calabria», terra a cui è profondamente legato: «Quando viaggiavo per il mondo, la prima cosa che facevo era spedire una cartolina a casa». Di Gianni conserva un ricordo intenso, senza rimpianti: «Ci siamo detti tutto, eravamo la metà della stessa mela. Lui il birichino, io il saggio».

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