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Jovanotti: “Montecristo? Ho scelto il 1976 per un motivo. Nome d’arte nato per nascondere il vero nome sulle cassette”

Jovanotti: “Montecristo? Ho scelto il 1976 per un motivo. Nome d’arte nato per nascondere il vero nome sulle cassette”. Jovanotti su Montecristo, la curiosità sulla scelta del nome d’arte, e non solo. Il cantautore romano, 58 anni, parla del suo nuovo lavoro discografico in una intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo per ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Jovanotti è tornato. Come il conte di Montecristo.
«Mi ha sempre affascinato. L’uomo che ha perso ogni cosa, anche l’amore, ma poi ritorna. Per questo ho intitolato Montecristo la nuova canzone. È uscita l’altro giorno, e mi hanno già scritto in tanti».

[…] Luglio 2023, Santo Domingo, l’incidente.
«Andavo in bicicletta su una strada asfaltata da due giorni, c’era un dosso non segnalato, ho fatto un volo sbagliato. Ho visto il piede al contrario, la clavicola fuori. Ambulanza. Ospedale più vicino. Poi ospedale più attrezzato» […] «Il femore non si era rotto; si era sbriciolato. In particolare il trocantere».

[…] E adesso?
«La fisioterapia la faccio per bene e non mi pesa. Sveglia alle sei, prima sessione di un’ora e mezza. Leggo, scrivo, suono, mangio, guardo il lago Trasimeno che luccica laggiù sotto il sole. Poi la seconda sessione. Per marzo sarò in forma».

Cosa succede a marzo?
«Riprendo a suonare. Tournée nei Palasport. PalaJova. Sono curioso di provare la macchina, di vedere come funziona il mio corpo nuovo».

Jovanotti: “Montecristo? Ho scelto il 1976 per un motivo”

In Montecristo lei evoca l’estate del 1976, quando si disse: «Diventa quello che sei». Cos’è successo in quell’estate?
«Niente. Ho scelto il 1976 perché a dieci anni inizi a farti un’idea della vita, e un po’ anche per la rima. Da piccolo mio babbo Mario mi regalò un libro sulla tecnica del disegno, con una dedica, l’unica che mi abbia mai scritto: “A mio figlio Lorenzo, perché scopra se ha davvero la stoffa dell’artista”. Io l’ho regalato a mia figlia Teresa, quando lasciò medicina per studiare arte».

Cosa fa ora Teresa?
«L’aiuto regista di Guadagnino. E disegna fumetti».

Per anni un po’ tutti hanno creduto che «A te» fosse dedicata a Teresa. Invece era per sua moglie, Francesca.
«La scrissi per chiederle di sposarmi. La canzone di Teresa la composi invece quando Francesca era incinta. Si chiama “Per te”».

[…] Lei ha un nome bellissimo, Lorenzo Cherubini. Che bisogno c’era di chiamarsi Jovanotti?
«Mettevamo su i dischi e registravamo la musica su cassette da un’ora, che rivendevamo per poche migliaia di lire: “Dammi la prima ora”, “io vorrei la seconda ora”. Non dico fosse un furto, ma mica potevamo metterci su nome, cognome, indirizzo. Così mi inventai questo nome d’arte, collettivo: Jovanotti».

[…] Io credo che a questo mondo esista solo una grande chiesa, che passa da Che Guevara e arriva fino a madre Teresa…». Lo riscriverebbe?
«Certo. Fa parte del mio modo di stare al mondo. Di cogliere il bene, il nuovo, l’energia là dove c’è. Sono più ecumenico del Papa. Vicino a casa c’era un bar, noto ritrovo di fascisti. Poi andavo dagli scout, e il mio capo squadriglia leggeva Lotta Continua in chiesa».

Cosa faceva suo padre in Vaticano?
«Il gendarme. Accompagnò un amico all’esame: scartarono l’amico e presero lui».

Jovanotti: “Nome d’arte nato per nascondere il vero nome sulle cassette”

[…] Qual è il suo primo ricordo?
«Ho tre anni, mia sorella Anna è appena nata, e l’uomo sta sbarcando sulla luna. Un ricordo in bianco e nero».

[…] Dove abitavate?
«In via Porta Cavalleggeri 107. Un giorno arrivai ad affacciarmi dalla finestra del Papa. Piazza San Pietro era il nostro cortile di giochi».

[…] È vero che Emanuela Orlandi era vostra vicina di casa?
«Sì. Era amica di mia sorella. Anna voleva iscriversi alla scuola di musica vicina a Sant’Apollinare, ma era tutto pieno. Un giorno le telefonarono: si era liberato un posto. Era quello di Emanuela. Per mia sorella divenne un’ossessione. Ha studiato il caso, incontrato suo fratello».

E che idea vi siete fatti?
«Che la verità non la sapremo mai. Mio padre era convinto che Emanuela fosse stata vittima di un maniaco, e il Vaticano non c’entrasse nulla».

È vero che lei era amico di Alessio Casimirri, il brigatista coinvolto nel rapimento di Moro?
«Andavamo in visita con la mia famiglia nella loro casa a Monterotondo: lui aveva un fucile da sub, le foto con le murene».

Jovanotti: “Mio fratello morto mi ha iniziato alla musica”

[…] Lei ha due fratelli più grandi.
«Bernardo e Umberto, che è morto a 46 anni, caduto con l’aereo che stava collaudando per conto di un amico. È stato lui a iniziarmi alla musica, ai cantautori».

[…] La musica per lei quando comincia?
«A 19 anni ero già tra i due o tre dj importanti di Roma. Sabato e domenica pomeriggio al Piper, tutte le sere al Veleno, vicino a Via Veneto: ci sono passato qualche anno fa, ora è un locale per scambisti. Feci un’estate a Porto Rotondo e una a Palinuro, dov’era in vacanza la moglie di Cecchetto. Venne alla consolle e mi disse: “Se ti vede Claudio, impazzisce”. Così le lasciai il numero di casa».

E Cecchetto?
«Mi telefonò a settembre: “Mia moglie, da cui sto per divorziare, mi ha segnalato te. Siccome non mi ha mai segnalato nessuno, verresti a Milano?”».

E lei andò a Milano.
«Avevo fatto un provino a Discoring, mi avevano preso. Discoring era la trasmissione di punta della Rai; ma già si vedevano i segni del declino. Dj Television era il nuovo. Non esitai».

[…] Poi per la sinistra lei divenne un’icona. Per la campagna elettorale del 2008 Veltroni scelse una sua canzone: «Mi fido di te, cosa sei disposto a perdere?».
«Infatti perse».

[…] I suoi grandi anni, Lorenzo, sono stati gli anni 90.
«Che sono stati molto migliori degli anni 80. Viene inventata la rete. Esplode il rap, la musica delle città: il rock è ancora una musica rurale, che si inurba; il rap è Eminem, New York, la street culture. Serenata Rap è del 1994».

Jovanotti: “Con mia moglie l’incontro è avvenuto da un’amica di mia sorella”

Come fu l’incontro con sua moglie, Francesca?
«Siamo tutti e due di Cortona. Era un’amica di mia sorella; ma non mi ero accorto di lei. Un anno, era sempre il 1994, il parroco, don Antonio, mi chiede di regalargli un’ambulanza per portare i disabili al mare. Io dico: facciamo un concerto e con l’incasso compriamo l’ambulanza. Invito anche Pino Daniele. E vedo questa ragazza dagli occhi azzurri, bellissima. Mi ricordo di lei. Tento un approccio. Non ci siamo più lasciati».

Avete avuto anche momenti difficili.
«Sono io a essere difficile. Sempre in giro, viaggi da solo, tournée… Ma abbiamo condiviso tutto, amore, affetto, casa, famiglia, gatti, e una figlia meravigliosa».

[…] Perché la sinistra perde?
«Perché non ha energia. E l’energia è lo spirito del tempo incarnato. Vale per i politici quel che vale per gli artisti, al momento di salire sul palco: o hai energia, o non ce l’hai. Io ce l’ho»

La Schlein ha energia?
«In questi mesi è migliorata nella comunicazione. L’ho incontrata una volta, mi ha parlato delle Lettere contro la guerra di Terzani, lei stava con Terzani e non con la Fallaci. Vuole fare bene, vuole fare del bene. Ma la politica è una macchina infernale, difficilissima da guidare».

E la Meloni?
«Nel comunicare è una fuoriclasse. Ma non mi piace quello che fa. L’immigrazione è un allarme, però è anche una risorsa, un fenomeno inarrestabile che deve essere gestito bene. Il nostro Paese ha bisogno di salvare la sanità pubblica, di ripensare la scuola, di prendersi cura delle persone. Tutto questo nel governo non lo vedo».

Non si offende per le imitazioni di Checco Zalone?
«Ne rido. Uno che ha scelto di chiamarsi Jovanotti non può essere permaloso».

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