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Salute

Inquinamento punto debole per chi soffre di malattie cardiache: studio sconfessa report sulla qualità della vita

Inquinamento punto debole per chi soffre di malattie cardiache: studio sconfessa report sulla qualità della vita. È di ieri la notizia che annuncia Milano al primo posto per qualità della vita in Italia. Eppure il capoluogo lombardo negli ultimi anni figura costantemente tra le città più inquinate al mondo, conquistando anche il podio in una occasione, oltre alla leadership di città meno sicura.

Ma restando sull’argomento qualità dell’aria, uno studio condotto dai ricercatori del centro cardiologico Intermountain Health di Salt Lake City, sconfessa totalmente i dati dell’indagine annuale sulla qualità della vita 2024 realizzata da ItaliaOggi e Ital Communications. Si, perché dai risultati è emerso che l’inquinamento è il punto debole per chi soffre di malattie cardiache. La ricerca è stata presentata alla conferenza internazionale Scientific Sessions 2024 dell’American Heart Association a Chicago (Usa).

Gli autori dello studio hanno osservato che due marcatori infiammatori, CCL27 (chemiochina con motivo CC, ligando 27) e IL-18 (interleuchina 18), risultavano aumentati nei pazienti con insufficienza cardiaca esposti a scarsa qualità dell’aria, mentre non subivano variazioni in soggetti senza malattie cardiache. Questo suggerisce che l’inquinamento atmosferico rappresenta una sfida significativa per chi soffre di problemi cardiaci.

La novità dal nuovo studio

Studi precedenti avevano già evidenziato che persone con patologie croniche come insufficienza cardiaca, malattie coronariche o asma tendono a soffrire maggiormente durante i picchi di inquinamento. Il nuovo studio condotto da Intermountain Health dimostra che nei pazienti con malattie cardiache i livelli di infiammazione cardiaca aumentano in corrispondenza di bassa qualità dell’aria.

Questi biomarcatori aumentano in risposta all’inquinamento solo nei pazienti con malattie cardiache, non in quelli senza tali patologie, dimostrando che i soggetti con insufficienza cardiaca non riescono ad adattarsi ai cambiamenti ambientali”, ha spiegato Benjamin Horne, PhD, autore principale dello studio e professore di ricerca presso Intermountain Health.

Per questo studio, i ricercatori di Intermountain Health hanno collaborato con esperti della Stanford University e della Harvard School of Public Health, analizzando campioni di sangue raccolti dal registro Intermountain INSPIRE. Questo database comprende campioni biologici, informazioni cliniche e dati di laboratorio di persone sane e di pazienti con varie condizioni mediche.

Le analisi di 115 proteine indicative

Gli scienziati si sono concentrati sull’analisi di 115 proteine indicative di infiammazione, esaminando campioni di sangue di 44 pazienti con insufficienza cardiaca e 35 individui sani. I prelievi sono stati effettuati sia in giorni con bassi livelli di inquinamento atmosferico (PM 2,5 inferiori a 7 µg/m³) sia in giorni con alti livelli di inquinamento (PM 2,5 pari o superiori a 20 µg/m³).

Questi picchi di inquinamento, legati al fumo degli incendi boschivi estivi o alle inversioni termiche invernali che intrappolano gli inquinanti vicino al suolo, hanno evidenziato che i marcatori infiammatori CCL27 e IL-18 aumentavano significativamente nei pazienti con insufficienza cardiaca, mentre rimanevano invariati in soggetti sani, indicando una maggiore vulnerabilità dei cardiopatici agli effetti dell’inquinamento.

“Questi risultati”, ha concluso il dottor Horne, “forniscono preziose informazioni sui meccanismi attraverso cui l’infiammazione colpisce i pazienti con insufficienza cardiaca, suggerendo che non sono in grado di rispondere all’infiammazione acuta come le persone sane”.

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