Sonia Bergamasco: “Eleonora Duse? Ecco perché l’ho scelta. Fare l’attrice mi ha salvato la vita”. Sonia Bergamasco su Eleonora Duse, e non solo, l’attrice, 58 anni, esordisce come regista con un documentario dedicato alla “Divina”. Ne parla in una intervista a ‘Io Donn’ della quale ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Confessi: “Eleonora Duse c’est moi”.
“Oh no, mai pensato di identificarmi! Però ho sempre provato un amore, un senso di gratitudine e un’emozione profonda sin da quando frequentavo la scuola del Piccolo di Milano e la sua immagine mi “chiamava” da una gigantografia che Giorgio Strehler aveva voluto sulle scale”.
Perché questa scelta?
“L’aveva conosciuta attraverso le memorie del collega francese Jacques Copeau: a Parigi era famosa quanto Sarah Bernhardt, Auguste Rodin si ispirò a lei per una scultura intitolata Il dolore. Aveva ammiratori ovunque: James Joyce, giovanissimo, la conobbe a Londra e le dedicò una poesia, George Bernard Shaw la descrisse come l’Attrice Assoluta. In Russia colpì Čechov e influenzò Stanislavskij”.
[…] Aveva capito fin da bambina che la recitazione sarebbe stata il suo “gioco” preferito?
“No, affatto, per quanto ora sia l’unica cosa che mi appaga, non potrei immaginarmi altrove. Non sarebbe esagerato persino affermare che fare l’attrice mi abbia salvato la vita”.
Sonia Bergamasco: “Eleonora Duse? Ecco perché l’ho scelta”
E come?
“Ho trovato una sorta di porto, senza considerare che il gesto dell’attore è anche liberatorio, rigenerante dalle sofferenze, dalle delusioni, dalle ferite della vita. Da piccola, studiando pianoforte, mi ero ritrovata in una dimensione assolutamente individuale, solitaria. Quando è mancato mio padre, all’improvviso, avevo 18 anni e stavo per diplomarmi al Conservatorio: lessi casualmente il bando della Scuola del Piccolo e impulsivamente decisi di partecipare”.
Non può essere stata un’attrazione fatale così immediata.
“Con il senno di poi, no. (ride forte) Avevo bisogno di stare con gli altri, di trovare una casa. Di trovare una comunità di persone che condividesse con me la creatività: c’era un’unica cosa di cui ero sicura, non avrei sopportato la ripetitività. Ho cercato a occhi chiusi e sono stata fortunata: ho raggiunto questo approdo prima nel teatro e poi nel cinema. Non cercavo successo o affermazione, ma la possibilità di capirmi. Non ho capito niente, naturalmente, però ci provo”.
I tre ruoli chiave nelle tappe di conoscenza?
“Sicuramente la Giulia di La meglio gioventù (diretto da Marco Tullio Giordana nel 2003, ndr) per la complessità e per la sua vicenda musicale: a un certo punto si blocca (vende addirittura il pianoforte) per prendere la strada – dolorosa, fallimentare – della lotta armata. L’ho abbracciata con tutta me stessa ed era difficile, è difficile, amarla. Subito dopo c’è probabilmente Quo vado? con Checco Zalone: quella dottoressa per cui mi fermano per strada è stata un personaggio che mi ha dato parecchio – al di là della popolarità – per l’irriverenza nell’approccio al lavoro e per la purezza del tempo comico a cui mi ha costretto”.
E al terzo posto?
“Chi ha paura di Virginia Woolf?, che ho portato in tournée un paio d’anni fa con Vinicio Marchioni e la regia di Antonio Latella: quella Marta per me è stata una rivelazione, così divertente, tragicomica. Mi ha dato la possibilità di scatenarmi, di abbandonarmi a un’energia folle e potente. Un’altra donna rispetto a quella che sono, per quanto da tempo mi prenda meno sul serio”.
Sonia Bergamasco: “Fare l’attrice mi ha salvato la vita”
Quando ha cominciato?
“Negli anni, grazie al cielo, ti alleggerisci. Con personaggi decisamente portati in commedia ho cominciato a misurarmi con qualcosa che avevo sicuramente di mio e però non era ancora stato espresso: si è rivelato una bella scoperta, innanzitutto per me. L’esperienza della maternità può liberare parecchio dai pesi (non per forza, come testimonia il mio ultimo film, La vita accanto). Può “decentrarti”, ecco (ride)”.
Le sue figlie ormai sono grandi. Mostrano già la vostra stessa vocazione?
“Valeria no, Maria invece sta cominciando questa professione difficile”.
Preoccupata?
“Ognuno deve seguire la sua chiamata. Posso solo sperare che sia il più possibile felice”.
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