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Deborah Compagnoni: “Compagno? Michele mi ha fatto scoprire cose nuove. Mio fratello è morto facendo ciò che amava di più”

Deborah Compagnoni: “Compagno? Michele mi ha fatto scoprire cose nuove. Mio fratello è morto facendo ciò che amava di più”. Deborah Compagnoni sul compagno Michele, il fratello è morto, la vita in montagna, e non solo, I’ex sciatrice alpina, 54 anni, si racconta in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] La dedica è per i suoi tre ragazzi e per le due nipotine, figlie di suo fratello Jacopo, travolto da una valanga il 16 dicembre 2021.
«Virginia e Carolina mi chiedevano sempre: zia, raccontaci una storia. Hanno 7 e 5 anni, vivono in montagna. Come i miei figli, amano moltissimo Pippi Calzelunghe perché è vera».

Il dolore per un lutto, con il tempo, si trasforma?
«Se l’approccio è giusto, il tempo aiuta. Jacopo è morto facendo ciò che amava di più. Questo pensiero permette di dare un senso alle cose. La dedica alle nipotine è un pretesto per ricordarlo: era dell’81, troppo piccolo per partecipare alle mie avventure di bambina. Quando è nato, il dito nel tritacarne l’avevo già messo. È stato più presente dopo, alle gare. Mamma Adele ha i suoi alti e bassi, ma è donna di montagna: ne conosce le leggi. Jacopo l’aveva convinta a fare escursioni insieme: tra loro si era instaurata una connessione forte».

Deborah Compagnoni: “Mio fratello è morto facendo ciò che amava di più”

[…] A 10 anni già esercitava il pensiero creativo: da grande vorrei fare le gare di sci e dipingere, scriveva in un tema delle scuole elementari. Desideri realizzati entrambi.
«Credo molto nella forza dei sogni perseguiti senza mettersi un’eccessiva pressione. Erano anni in cui i mental coach e il lavoro sulla mente non esistevano. Oggi è tutto così iper-specializzato, troppo. Oggi i social ti informano su qualsiasi argomento e i tutorial su YouTube ti insegnano ogni cosa. Invece bisogna imparare a sapersi gestire da soli. Anche lo sport professionistico è troppo esasperato».

L’equivalenza passione-ossessione, in effetti, sembra un po’ sfuggita di mano.
«Lo sport non è solo agonismo e i figli vanno ascoltati, non pressati perché ottengano il risultato. Ai miei tempi i coach della mente non servivano perché non esistevano le aspettative che ci sono oggi. Pretendiamo l’oro olimpico da ragazzi a cui alle elementari non è stata insegnata nemmeno la capriola. Non è giusto considerare l’attività motoria una materia di importanza minore. Vanno inserite più ore nella scuola dell’obbligo: solo così i bambini e le bambine potranno avere pari opportunità da grandi e nel frattempo, magari, perderanno meno tempo sui social».

Poi c’è Jannik Sinner, bravo in due sport, sci e tennis.
«A San Candido sono bene organizzati: i turisti che frequentano l’Alto Adige vogliono giocare a tennis, hanno i campi. Alberto Tomba e Isolde Kostner erano bravissimi con la racchetta: i passetti, gli spostamenti laterali, l’indipendenza di gambe sono tutte eredità dello sci, che prevede una preparazione multi-sport. A secco alleni destrezza, rapidità, forza. Poi Jannik è un fenomeno, chiaro».

[…] Un ricordo da tramandare ai posteri?
«La raccolta dei rifiuti, una sensibilità collettiva che una volta non c’era. Lo racconto in una storia del libro. Papà già nel lontano 1979 la sentiva molto: ai figli la insegnò come se fosse un gioco e noi, a nostra volta, abbiamo passato l’abitudine a figli e nipoti. Il senso era far capire a noi bambini che un piccolo gesto pratico poteva segnare un grande cambiamento per l’ambiente che ci circonda. Il futuro dei luoghi passa attraverso la preservazione».

Deborah Compagnoni: “Compagno? Michele mi ha fatto scoprire cose nuove”

[…] Parliamo d’amore? […]
«Della vita a Treviso non cancello niente. Prendo tutto, a cominciare da tre figli amatissimi. Poi le cose, tutte le cose, finiscono. Michele fa la guida alpina. Con lui ritorno alle mie origini, alle radici della mia storia: papà Giorgio, mio fratello Jacopo, gli zii e il nonno, generazioni di guide alpine hanno attraversato per trent’anni la famiglia Compagnoni. Con Michele sono tornata in montagna. Non solo per sciare, per fare altre attività nella natura: sci alpinismo, trekking, arrampicata. Sport e aria aperta: la mia dimensione. Non siamo fanatici: nulla di ciò a cui ci dedichiamo è prestazionale».

L’amore da adulti è diverso? E, se sì, come?
«Meno farfalle nello stomaco, più contenuti. Michele è del Cadore, l’ho conosciuto facendo sci alpinismo: era la mia guida. Mi ha fatto scoprire cose nuove, permettendomi di tornare allo stile di vita di quando ero bambina. Senza postare nulla sui social. La mia condivisione non passa dall’esibizione. Le regole non mi sono mai piaciute ma certi valori sono fondamentali. L’amore adulto consiste nell’allineamento tra età e radici comuni. Ha meno aspettative e tumulti però si poggia su un equilibrio più stabile».

Che messaggio di sé vorrebbe che passasse attraverso il libro?
«Un appello al ritorno all’autenticità, con meno condizionamenti e meno obblighi di essere a tutti i costi bravi, performanti, interconnessi con il rischio di perdersi per strada la bellezza della realtà. Non mi vergogno a dirlo: la semplicità è un valore».

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