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Massimo De Luca: “Ciotti e Ameri non si amavano. Oggi troppo protagonismo in Tv, preferisco la Radio”

Massimo De Luca: “Ciotti e Ameri non si amavano. Oggi troppo protagonismo in Tv, preferisco la Radio”. Massimo De Luca su Ciotti e Ameri, il troppo protagonismo nella Tv di oggi, gli esordi e non solo. Lo storico volto del giornalismo sportivo, 74 anni, si racconta in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

[…] Radio o tv: il suo vero amore qual è?
«Il primo, cioè la radio: è più affascinante, perché sei l’unico tramite fra il fatto e l’ascoltatore. E devi essere sintetico, conciso, non devi affaticare chi ti ascolta: come insegnava Sergio Zavoli “devi scrivere nel microfono”».

Zavoli è stato un maestro molto duro?
«Era severo, rigoroso sulla forma, ti correggeva le parole, i singoli aggettivi: una scuola formidabile, anche perché se aveva stima di te, ti dava sempre un’opportunità».

La sua quale fu?
«Mi scelse per il Gr1, dopo tre mesi ero già caposervizio, destando scandalo. Poi fui io ad andare da lui, perché avevamo un grande rapporto: il basket nel 1978 era lo sport dei giovani, ma non aveva nulla. Ci inventammo “Tutto il basket minuto per minuto”. E fu un successo».

Dieci anni dopo diventa direttore dell’orchestra di «Tutto il calcio», erede di Bortoluzzi. Aveva a che fare con molte primedonne?
«Lui mi lasciò il testimone, spiegandomi che i campi collegati dovevano dare il ritmo, mentre lo studio deve trasmettere l’armonia: da un lato i fuochi d’artificio, dall’altro un porto calmo».

Massimo De Luca: “Ciotti e Ameri non si amavano”

Con Ciotti, Ameri e soci — e con tutte le partite di serie A giocate in contemporanea — l’atmosfera era scoppiettante?
«Ciotti e Ameri non si amavano un granché. Sandro era più tecnico, aveva giocato anche a discreto livello. Ameri era una musica, se lo risentiamo adesso è quasi più moderno dei radiocronisti di oggi, certamente è più godibile perché ora si tende a confondere ritmo e concitazione».

E qual è il rischio se si confondono?
«Quello di essere troppo ansiogeni, di dire tutto. Il risultato è l’utilizzo di troppe espressioni tecnico tattiche, come le “seconde palle”, i “quinti”, le “transizioni positive”. Mi chiedo cosa capisca il pubblico, soprattutto quello della televisione generalista: c’è troppo protagonismo».

Ma lei era ciottiano o ameriano?
«Dopo la maturità classica nel 1968 mi iscrissi a filosofia e iniziai a collaborare per gli sport minori con la Gazzetta grazie a Ciotti, amico della famiglia della mia fidanzata. Al mio quarantesimo compleanno lui suonava il piano e io cantavo in francese. Però, nonostante l’amicizia Sandro non gradiva essere smentito…».

Fu costretto a farlo?
«Al mio debutto mi resi conto che non avevamo i monitor per vedere le partite in bassa frequenza e li ottenni: quando si verificò il famoso episodio della monetina che a Bergamo colpì Alemao del Napoli, sapevo che Sandro non poteva averlo visto dalla tribuna e intervenni, sia pure coi sudori freddi. Lì si decise lo scudetto».

Dalla radio alla tv, dalla Rai a Mediaset, da Ciotti a Vianello. Due mondi molto diversi?
«Ero passato a prendere mia figlia, nella casa dove non abitavo più perché mi ero separato: alzai la cornetta a forma di Bart Simpson e dall’altra parte c’era Adriano Galliani: l’idea di lasciare Roma non mi aveva mai sfiorato e non dissi subito sì. Speravo che la Rai rilanciasse con la conduzione della Domenica Sportiva, ma Bruno Vespa non voleva un altro della radio dopo Ciotti».

Massimo De Luca: “Oggi troppo protagonismo in Tv, preferisco la Radio”

Il primo incontro con Berlusconi come fu?
«C’era già stato alla radio: un pomeriggio volle venire nei nostri studi milanesi per vedere le partite nella sala allestita per la “bassa frequenza”. Io stavo conducendo, mi avvisarono e gli feci chiedere se voleva commentare in diretta la partita del Milan. Accettò, prese appunti ma dimenticò una penna stilografica di un certo valore, che gli feci avere tramite le guardie del corpo. Poi quando arrivai a Milano mi invitò ad Arcore e mi illustrò come riteneva andasse reimpostato il lavoro della redazione sportiva».

[…] Nei mari agitati della politica, lo sport era un’isola a parte o affrontava delle pressioni?
«L’ho avvertito negli anni di direzione di Raisport, un periodo limitato per mia scelta, visto che optai per un contratto a termine. In quei tre anni ho avuto più rapporti con personalità politiche che in tutto il resto della mia carriera».

[…] Si è sempre occupato unicamente di sport?
«No. Negli anni di piombo eravamo tutti allertati e fui mandato tra l’altro al lago della Duchessa, per il comunicato poi rivelatosi fasullo, sul ritrovamento del cadavere di Aldo Moro. E mi occupai nel 1978 delle morti e delle elezioni dei Papi: per estrazione famigliare avevo rapporti col Vaticano. E questo mi facilitò anche nel servizio più incredibile di tutta la mia carriera».

Quale?
«Il funerale di Grace Kelly a Montecarlo, nel settembre 1982, come inviato del Gr1».

[…] Ma in filosofia alla fine si laureò?
«No, ho dato tutti gli esami, l’ultimo nel 1989, ma non ho dato la tesi. Vorrei sentire se è ancora possibile farla, discuterla e prendere la laurea»

I suoi genitori di cosa si occupavano?
«Mio padre, siciliano, era un musicista compositore, mia madre, casalinga, era napoletana. Si sono conosciuti a Roma durante la guerra».

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