Gabriella Pession: “Mio figlio è un piccolo Sinner. Hopkins? Mi ha colpito soprattutto per un aspetto”. Gabriella Pession sul figlio e non solo, l’attrice italiana con cittadinanza statunitense, 57 anni, è tra i protagonisti della serie Prime Video Those About to Die, diretta da Roland Emmerich. Ne parla in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Ci racconti subito di Anthony Hopkins.
«Appena è arrivato sul set, vestito da Vespasiano, ci ha messo in soggezione. Poiché ci aveva detto di chiamarlo Tony, mi sono fatta coraggio e gli ho chiesto se potevo fargli una foto per mio figlio. Ha risposto subito di sì, ma non avevo il cellulare. Dopo abbiamo girato tutto il giorno e la sera alle 18, quando pensavo se ne fosse dimenticato, mi ha ricordato lui della foto: io non avrei mai osato. Mi ha chiesto il nome di mio figlio e ha voluto fare pure un video».
Suo figlio si chiama Giulio. Chi lo ha scelto?
«Mio marito (l’attore irlandese Richard Flood, ndr). Giulio è nato a Dublino e per due giorni è rimasto senza nome. A me piaceva Naoisha, un eroe celtico. Però anche Giulio l’ho trovato subito bellissimo. E poi è un nome romano e Roma è la città dove abbiamo scelto di vivere».
[…] È un campioncino?
«Lo chiamano Micro Jannick. Ha 10 anni e i capelli rossi come Sinner. Siamo appena stati per una settimana all’accademia di Riccardo Piatti. A Los Angeles tramite un contatto con la Sharapova chiederò a lei da chi posso farlo allenare mentre siamo qui».
È davvero così bravo?
«Finché avrà lo stesso sorriso di Alcaraz quando gioca lo sosterrò, anche se comincia già a richiedere molte energie: si allena cinque giorni alla settimana».
Gabriella Pession: “Mio figlio è un piccolo Sinner”
[…] Lei però aveva dovuto smettere per un incidente ai legamenti del piede.
«Davvero è stato quello? Io fino a 14 anni ho pattinato con gioia, già a 9 anni sognavo di vincere le Olimpiadi. Poi quella gioia è scomparsa e non aveva più senso insistere».
[…] Ha ancora un appartamento a New York?
«Sì, a Central Park South, ma ormai l’ho affittato. Per me New York è una coccola, è come mangiare un marron glacé: posso vedere tutti i musical che voglio, andare per musei. È l’opposto di Los Angeles, che è un non luogo».
Però ci ha vissuto per tre anni.
«Sì, mentre Richard stava lavorando a Grey’s Anatomy. Los Angeles può essere alienante, la vita non la incontri, devi crearla: organizzi il barbecue con gli amici, fai meditazione, puoi anche restare tutto il giorno a guardare la tua palma, dipende da te. In quel periodo desideravo moltissimo lavorare nel mercato internazionale e non è successo. Curiosamente, la proposta per Those About to Die mi è arrivata quando ci eravamo trasferiti in Italia e avevo abbandonato il sogno americano: ero a Roma quando ho fatto il provino con Emmerich».
Suo figlio si è accorto del successo?
«Ieri mi ha chiamata gridando: “Mamma, sei in tv!”. Era appena passato un trailer della serie. È bizzarra questa cosa, ma me la godo con il giusto distacco emotivo: il nostro è un lavoro molto instabile».
[…] In cos’altro l’ha colpita, Hopkins, oltre alla gentilezza verso suo figlio?
«Per l’empatia, di cui l’aneddoto familiare è un piccolo esempio. Quando recita è meraviglioso perché davvero resta in ascolto e non è scontato: ho lavorato con tanti attori americani molto concentrati sulla loro performance, su come dicono la battuta».
Gabriella Pession: “Hopkins? Mi ha colpito soprattutto per un aspetto”
Tra non molto la vedremo anche nelle serie «Tell me lies» con Tom Ellis e «Montecristo» con Sam Claffin e Jeremy Iron.
«Credo di essere la donna più invidiata del pianeta! Tom Ellis ha un grande senso dell’umorismo, molto british. Di Sam mi ha colpito la grande serietà: appena sono arrivata sul set l’ho visto emaciatissimo, molto provato, poi allo stop si è illuminato tutto, è tornato sé stesso».
[…] Non c’è mai stata competizione con suo marito?
«Zero, mentre in passato ho avuto relazioni dove questo elemento poteva esserci. Invece lui è il mio fan numero uno, vediamo le nostre carriere come parte di un’unità e questa è una cosa bella: ci supportiamo a vicenda».
Dove vi siete sposati?
«A Dublino: lì i matrimoni durano tre giorni! Il primo si fa la cena, il secondo si celebra il matrimonio, il terzo si fa un barbecue. Tre giorni di festa nei quali si celebra la vitalità, ci si diverte. Una volta all’anno con nostro figlio facciamo un viaggio per scoprire un nuovo pezzetto di Irlanda che non conosciamo».
Vorrebbe lavorare di nuovo con suo marito?
«Ci siamo conosciuti sul set di Crossing Lines e Giulietto lo abbiamo concepito tre settimane dopo: l’inconscio ha lavorato bene per noi. Adesso lui ha scritto una serie che si chiama Sì chef e io dovrei interpretare sua moglie».
Anche lei scrive.
«Sì, sto scrivendo la mia prima serie tv come coautrice. È la storia di un ritorno a casa, alle proprie radici, di una donna di grande successo che si scoprirà genitore. È un inno alle piccole cose. In fondo quella donna sarei potuta essere io se non avessi incontrato mio marito».
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