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Sergio Rubini: “Fidanzate? Ne ho avute troppe e ho combinato guai. D’accordo con la destra su un aspetto”

Sergio Rubini: “Fidanzate? Ne ho avute troppe e ho combinato guai. D’accordo con la destra su un aspetto”. Sergio Rubini sulle troppe fidanzate, i guai combinati, Gérard Depardieu, è non solo, l’attore e regista pugliese, 65 anni, parla a tutto tondo in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Lei Rubini di amori ne ha avuti molti.
«Dopo la separazione da Margherita Buy potevo perdermi. Avevo avuto un numero spropositato di fidanzate. Fino a 38 anni ho combinato parecchi guai. A 39 ho incontrato Carla, che poi ho sposato, l’analisi e Domenico Starnone. Noi tre abbiamo scritto film insieme. Ed è cominciato il mio viaggio introspettivo, è cambiato il mio modo di vivere».

Cos’è cambiato?
«Prima ero alla ricerca dell’amore. A mia madre da piccolo chiedevo: sono bello? Lei: sei un tipo. E mi distruggevo. Andavo a caccia di conferme. Mi innamoravo alle 10 del mattino, il pomeriggio mi annoiavo, la sera fuggivo. Non fingevo mai, ci credevo…Ho fatto grandi casini, ho ferito e mi sono ferito».

Cambiava lei e stava cambiando il cinema.
«Ricordo Vittorio Cecchi Gori al tempo in cui era il primo produttore indipendente. Ero a casa sua, volevo parlargli del mio nuovo film. Ma lui da presidente della Fiorentina aveva appena mandato via l’allenatore, Gigi Radice, per il disappunto di tutta la città. La prima partita la pareggiò, la seconda la perse. Era paonazzo, la camicia aperta, imprecava, urlava: voglio vedere bruciare Firenze!».

Poi però lei ha recitato in film internazionali: Il talento di Mr Ripley di Anthony Minghella, La passione di Cristo di Mel Gibson…
«Mel Gibson si basò sulla visione di una mistica del Trecento: gli ultimi dodici minuti di Gesù. Infatti, è un film al ralenty».

[…] Lei crede in Dio?
«Credo nell’assenza di Dio, o comunque mi immagino sia preoccupato in altre cose; e ne sento quotidianamente la mancanza. Se anche ci fosse, non sarebbe necessariamente misericordioso. Su quello, ho tanti dubbi. L’essere umano è così piccolo. Siamo un errore di percorso, non l’obiettivo finale, come invece, con un po’ di supponenza, pensano i credenti. L’aldilà è un solido nulla, rispondo con Leopardi su cui sto indagando come regista. Però mi piacerebbe tanto crederci».

Lei ha lavorato con Depardieu, è stato suo amico. Cosa pensa delle accuse di molestia?
«Credo nella sua innocenza. Gérard può mettere in imbarazzo, è volgare ma in senso mozartiano, come Mozart quando diceva cacca-cacca. Non è l’attore che in accappatoio aspetta l’attrice in camerino, non è un orco, è dolce e fragile. Secondo me è più preda delle donne che predatore».

La destra rivendica una nuova egemonia culturale nel Paese, dopo gli anni della sinistra. Ora si punta su film e serie dedicati a eroi italiani.
«In termini generali, sono d’accordo che noi italiani dobbiamo raccontare la nostra storia. Se non fossimo noi ma altri sarebbe un impoverimento, tanto che ho visto con sospetto l’acquisizione all’estero di tante società audiovisive italiane. Che si tratti di un arricchimento per il nostro Paese, non sono sicuro fino in fondo: non si manda avanti un’economia solo perché paghi le tasse. La parte più pregiata del denaro è il profitto, è quella che produce ricchezza. Nel caso di questi soggetti stranieri quella parte va all’estero. Senza contare il tema della narrazione. Quando vedo documentari sulla Roma imperiale appannaggio di società straniere provo tristezza e malinconia. Siamo in un libero mercato, ci mancherebbe: ma allora che si dia un premio anche agli imprenditori che non vendono».

[…] Cosa pensa dell’Intelligenza artificiale al cinema?
«È un tema che noi artisti dovremmo affrontare più approfonditamente. Molte storie sono progettate da un algoritmo. Certo, la tecnologia ci aiuta in tutto, penso alla medicina. Ma nella narrazione l’utilizzo dell’algoritmo è studiato perché alla fine gli spettatori comprino qualcosa: l’essere umano viene narcotizzato perché si trasformi in cliente. Tutto ciò va regolamentato prima che sia troppo tardi, ed è compito della politica, quindi di tutti noi».

La sua famiglia come la pensava?
«Mio padre e mio nonno erano ferrovieri. E i ferrovieri una volta erano tutti socialisti. Forse perché viaggiando erano aperti al mondo e alle sue diversità. La stazione è il mio primo film e il mio primo luogo. Mio papà era frustrato, voleva fare il pittore ma non gli fu permesso. Per questo non voleva che andassi da lui in stazione».

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