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Willem Dafoe: “Italia? L’amore è nato in un momento preciso. Biden ha riparato i danni di Trump ma vederlo affaticato ora…”

Willem Dafoe: “Italia? L’amore è nato in un momento preciso. Biden ha riparato i danni di Trump ma vederlo affaticato ora…”. Willem Dafoe sull’Italia, la carriera, l’incontro con la moglie, e non solo, l’attore statunitense, 68 anni, da poco nominato direttore artistico del settore Teatro della Biennale di Venezia per il biennio 2025-2026, si racconta in una lunga intervista rilasciata ad Aldo Cazzullo per ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.

Willem Dafoe, com’è la sua relazione con l’Italia? Quando è venuto da noi per la prima volta?
«Nel 1980, da turista. Anni dopo Mario Martone e Tomas Arana portarono a Milano il gruppo teatrale con cui lavoravo al tempo, il Wooster Group. Ma la cosa più importante è che nel 2003 stavo girando a Roma, ed è lì che è iniziata la mia storia d’amore con l’Italia. A Roma ho incontrato mia moglie. E ho cominciato a viverci. All’inizio ci stavo poco. Ma ora, anche se viaggio molto per lavoro, passo più tempo a Roma che a New York».

Anche sua moglie, Giada Colagrande, è un’artista. Come vi siete conosciuti?
«Mi avevano parlato di un suo piccolo film, fatto in casa, con pochissimi soldi, che però era andato alla Mostra del Cinema di Venezia. Si intitola “Aprimi il cuore”. Lei è una regista autodidatta, viene dal mondo dell’arte; ma se ne parlava. L’ho visto e l’ho trovato interessante. Mi chiesero se volessi incontrare l’autrice. Prima siamo diventati amici. Poi più che amici».

Willem Dafoe: “Negli Usa il seme del capitalismo”

[…] Lei ha detto una frase che mi ha colpito: «Gli americani sono persone generose, ma lavorano tantissimo, c’è un sistema di assistenza crudele, devono lottare duramente nella vita, non viaggiano e sono convinti di essere nel migliore posto del mondo».
«Non ricordo quando l’ho detto, le cose cambiano… ma sì, è vero. Perché è il seme del capitalismo».

[…] Com’è cresciuto? Lei è il settimo di otto fratelli.
«Tendo a non giudicare quel che ci capita; è la mia vita, mi è piaciuta. Mi è piaciuto crescere in una famiglia numerosa. E durante tutta la mia vita ho tentato di ricostruire questa situazione, con famiglie creative. In un gruppo si impara a condividere e ad aiutarsi. Le famiglie con un figlio unico sono molto diverse da quelle numerose, se non altro per come i figli sentono il loro posto nel mondo. Ci si può trovare a dover lottare, perché si deve trovare il proprio posto. Ma si impara anche a collaborare. È un buon insegnamento per la creatività».

[…] Qual è il suo primo ricordo?
«Casa nostra era lontana dal centro. Nel quartiere si costruivano nuove case. Quando ero piccino, mi piaceva entrare in quelle case in costruzione, quando gli operai se n’erano andati, e guardarmi intorno. Probabilmente era la mia prima performance, il mio primo set».

Willem Dafoe: “Italia? Ho imparato la lingua grazie alle canzoni di Battiato”

Vivere le vite degli altri.
«Oppure vivere nelle case degli altri! Non saprei… Non direi “gli altri”: siamo tutti connessi».

Lei ha iniziato con il teatro.
«Sì. A lungo ho lavorato in teatro. Era la mia identità. E ci lavoro ancora. Essere nominato direttore della sezione Teatro della Biennale di Venezia per me è un vero e proprio ritorno al teatro».

Qual è il suo progetto per la Biennale?
«Concentrarmi sull’essenza del teatro. Sono un attore; guardo agli attori, al corpo dell’attore. Il cuore pulsante del teatro è il corpo: è questo a rendere unico il teatro. E il fatto che si recita in tempo reale, davanti a un pubblico. Immagino un teatro gremito di pubblico, persone davanti agli attori, e sento tutti quei cuori pulsanti. Ed è particolarmente importante oggi».

Perché?
«Perché con le nuove tecnologie le persone sono sempre più isolate. Ritrovarsi insieme è fondamentale, a maggior ragione per questi eventi rituali. Voglio risvegliare la curiosità del pubblico. La curiosità, l’interrogarsi sono le chiavi per vivere meglio».

In effetti nel suo lavoro, anche teatrale, è molto importante il corpo, il sesso; penso anche al film di Lars von Trier, Nymphomaniac. Forse lavorare sul corpo è più facile a teatro, e sul sesso al cinema?
«A teatro ci sono più opportunità, si controlla il ritmo, tutto si svolge in tempo reale, e si è presenti. Nel cinema si creano cose, si catturano momenti che poi vengono riordinati, sottoposti a un trattamento. A teatro si congiura: ogni volta, anche se si recita lo stesso copione, non è mai la stessa cosa. C’è la temporalità. Che è la sua bellezza».

Com’è nata la sua amicizia con Franco Battiato?
«Molti anni fa. Me lo presentò mia moglie. Eravamo legati, mi era molto caro. Era una persona particolarmente gentile e generosa, e mi sosteneva: ogni volta che avevo uno spettacolo teatrale, veniva alla prima. Veniva e ripartiva. Ho imparato l’italiano con le sue canzoni».

Willem Dafoe: “Italia? L’amore è nato in un momento preciso”

L’italiano di Battiato è molto particolare.
«Forse iniziare dalle sue canzoni non è il modo migliore di imparare l’italiano…».

Però nell’ultimo film di Saverio Costanzo lo parla.
«Faccio del mio meglio. Devo sempre lavorarci. Studio un poco ogni giorno».

Il film che la rivelò fu Platoon. Come lo ricorda?
«Fu un’esperienza straordinaria. Oliver Stone stava esorcizzando i suoi demoni, usava i dettagli del suo vissuto. Prese un gruppo di attori. Avevo fatto pochi film. E così anche gli altri attori. Era un esperimento. Eravamo nella giungla filippina, e alcuni veterani del Vietnam ci insegnarono a fare quel che fanno i soldati. Questo per me è essenziale, al cinema come a teatro: se impari a fare qualcosa, questo entra nella tua identità, in quello che sai, nel modo in cui pensi, e ti apre la porta per diventare un’altra persona. Se poi la situazione è molto drammatica, e in Platoon lo era, può diventare qualcosa di assai coinvolgente. Ti cambia. E devi cercare di portare il pubblico dentro la tua esperienza. Non si sottolinea nulla, non si dice nulla; si fa succedere qualcosa a noi stessi. La bellezza del teatro è che non si basa sulla letteratura, sulla storia: è più poetico, diventa un incontro di persone».

[…] Com’è stato lavorare con Madonna? Avete girato anche scene di sesso.
«Fu divertente. Facemmo un film molto particolare, Body of Evidence. Inizia come una pellicola vecchia maniera, non come un film erotico. Non ho mai pensato che fosse questa la sua forza. Lei era quasi all’apice della sua popolarità. Il film fu apprezzato; ma io per lo più sono stato preso in giro».

[…] Pasolini l’ha anche letto?
«Certo. Cominciai dalle poesie che mi diede mia moglie: difficili, per fortuna c’era il testo inglese a fronte. Gli “Scritti corsari”, gli articoli per il Corriere della Sera mi hanno affascinato. Pasolini aveva doti di profeta, previde cose che poi sono successe, nella società e nella politica. E poi ha previsto Internet. Il mondo interconnesso».

Willem Dafoe: “Biden ha riparato i danni di Trump ma vederlo affaticato ora…”

A lei è mai accaduto di innamorarsi di un uomo?
«La maggior parte delle persone non risponderebbe a questa domanda, ma mi dico in fondo che importa… La risposta è: mai. Non dal punto di vista sessuale».

[…] È vero che Michael Cimino la fece licenziare dal set de I cancelli del cielo perché lei aveva riso?
«Verissimo. Ma poi mi ha chiesto di lavorare in un altro film, quindi non mi ha serbato rancore. Credo fosse in un momento di stress. Per me non era in gioco quanto era in gioco per lui. Ero lì, sul set, giovane, me ne stavo seduto da solo, qualcuno mi ha raccontato una barzelletta, io ho riso, e per lui è stato pesante. Dunque, lo perdono! (Dafoe ride)».

[…] Noi europei fatichiamo a comprendere l’America di Trump. Ci aiuta?
«Oh, mio Dio! Non voglio parlare di lui. La stampa ne parla già troppo».

Non vuole dirmi neppure se Biden si deve ritirare?
«Penso che vederlo fare fatica ci renda coscienti della situazione. I numeri e le statistiche parlano da soli, e ci dicono che Biden è stato un ottimo presidente. Ha riparato i danni fatti da Trump, non solo nell’economia; penso al clima che si respira nel Paese. Per questo ora ci sono molte preoccupazioni in America».

E del governo italiano cosa pensa?
«Leggo i giornali italiani, ma salto le prime otto pagine, perché la vostra politica è complicata. Per un americano, abituato a un sistema fondato su due partiti, l’idea delle coalizioni, delle maggioranze, dei governi che cadono facilmente, è difficile da comprendere».

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