Gino Paoli: “A 90 anni si capisce soprattutto una cosa. Spesso ho trattate le donne in modo ignobile. Mi sparai per noia”. Gino Paoli sui 90 anni, le donne, il tenta suicidio, e non solo, il cantautore ligure ripercorre le tappe più significative della sua vita, privata e professionale, in una intervista a ‘Tv Sorrisi e Canzoni’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Il 23 settembre compirà 90 anni. Come si immaginava a 90 anni?
«Non mi immaginavo. E non mi immaginavo neanche a 30, cioè proprio non ho mai immaginato di poter arrivare a questa età».
Che uomo vede allo specchio?
«Credo che ciò che capisci, a 90 anni, è che sei quello che sei, non c’è niente che tu abbia cambiato. Ti rendi conto, a un certo punto, di non poter più fare la corsa con tuo figlio, o che non riesci a stare dietro al cane (in casa ce ne sono tre: Nana, una bulldog inglese, Lula, una labrador, e Leila, il lupo cecoslovacco del figlio Tommaso, ndr) ma ci sono anche tante cose che non potevi fare e le fai, perché ti accorgi di tutto. Più invecchi e più ti accorgi di tutto, è come se l’attenzione si rafforzasse: mi accorgo di cose che magari mi sono passate davanti mille volte e non ho mai notato».
Tempo fa mi aveva detto che nella vita il 20% è talento e l’80% fortuna. Riguardando la sua, è ancora di quest’idea?
«Assolutamente. È l’occasione, essere pronti per quell’occasione. Io volevo fare il pittore, anzi, facevo il pittore, ed ero anche molto apprezzato. La mia vita era quella. Improvvisamente mi sono trovato buttato in mezzo a questo bailamme e non me ne rendevo neanche conto. Pensavo che avrei fatto un anno o due, per divertirmi un po’, e poi sarei tornato a fare il pittore e il grafico pubblicitario».
Gino Paoli: “A 90 anni si capisce soprattutto una cosa”
[…] Nel 1960 aveva scritto “La gatta”, che inizialmente era stata un fiasco. Poi arrivò il successo di “Il cielo in una stanza”, incisa da Mina. È vero che non voleva che Mina la cantasse?
«Avevamo avuto una specie di flirt, senza arrivare a niente di concreto, e io per ripicca non volevo che lei facesse una canzone mia. Non ne volevo sapere. Alla fine lei e il mio editore, che era Mariano Rapetti, il padre di Mogol, hanno insistito tanto che ho ceduto».
E la sua vita cambiò.
«Stavo in una pensione a Milano. Incontro l’arrangiatore del pezzo, Tony De Vita, che mi dice: “Gino, non sai che cosa è successo! Hai scritto una cosa meravigliosa. Mina quando ha finito di cantare si è messa a piangere. Tutta l’orchestra in piedi ad applaudire, è una cosa che non è mai successa”. Insomma, avevo saputo queste cose da Tony, ma non avevo ancora ascoltato niente. L’ho sentita e mi è piaciuta parecchio. Infatti non l’ho più incisa, o meglio, l’ho incisa dopo un anno o due. Poi, però, anche Morricone ne ha fatto una versione che non scherzava».
[…] “Senza fine” uscì come lato B. Non avevano capito la potenza di questa canzone?
«La verità è che quando l’ho portata a Rapetti mi ha detto: “Senti Gino, tu sei bravo, però in questo momento sta andando il rock. Mi spieghi perché mi porti un valzer?”».
Gino Paoli: Spesso ho trattate le donne in modo ignobile”
Nel giro di tre anni lei ebbe un enorme successo e divenne una star da copertina dei rotocalchi. Eppure, l’11 luglio 1963 scioccò l’Italia sparandosi al cuore.
«Avevo tutto. Successo, soldi, la casa più bella di Genova. Avevo avuto una storia d’amore con Ornella Vanoni e ne stavo vivendo una travolgente con Stefania Sandrelli. “Sapore di sale” era in tutte le classifiche. Forse troppo per un ragazzo di 28 anni. Non sentivo più niente. Odiavo ripetere sempre gli stessi gesti, mi ero stufato. Era come se non succedesse più niente».
Per fortuna non era il suo momento (la pallottola è ancora incastrata vicino al cuore). Ma perché Gino Paoli aveva due pistole in casa?
«Io, Luigi, tutti avevamo la pistola in tasca. Abbiamo fatto delle cose da assoluti idioti, eravamo i ribelli di Genova. Infatti quando è uscito “Gioventù bruciata”, con James Dean, ci siamo riconosciuti in tutto, eravamo proprio così. Lo scherzo della morte noi lo facevamo col semaforo: scattava il rosso e ti buttavi. Naturalmente le macchine facevano delle cose incredibili per evitare l’impatto. Scherzavamo con la morte».
[…] Nella sua autobiografia “Cosa farò da grande” scrive: “Nel 1971 ero un cantante finito”.
«Mi sono ritirato. Nel momento in cui mi chiedevano la canzone politica, io non ci stavo a fare il “viva questo e abbasso quello”. Ho detto basta. Un impresario amico mi trovò una balera a Levanto e l’ho gestita per un po’».
Gino Paoli: “Mi sparai per noia”
Le pesava? Dopo aver conosciuto ricchezza e successo?
«No. Io ho sempre aspettato che le cose mi succedessero. Sempre. Non ho mai cercato qualcosa, mi è sempre successo qualcosa. In tutto. Perfino con le donne, ho sempre aspettato che fossero loro a farsi avanti. Mi è successo di fare il grafico, poi mi è successo di fare il cantante, poi di andare a fare il proprietario del locale giù a Levanto, e poi mi è successo che Sergio Bernardini mi ha fatto tornare alla “Bussola” in una serata che è stata una roba pazzesca… È la mia vita».
Prima parlava della sua fortuna con le donne. Lei con loro non è stato sempre irreprensibile…
«Ho dato loro dei grandi dispiaceri e spesso le ho trattate in maniera oscena, ignobile. Però le ho amate molto e mi hanno dato moltissimo. Tutto quello che sono lo devo in gran parte alle donne. Non rimpiango e non modificherei niente».
Per una donna (Stefania Sandrelli) lei ruppe con Luigi Tenco.
«Lo eliminai dalla mia vita. Però quella storia mi ha fatto pensare… Se ci ragiono adesso, credo che questa cosa l’avrei superata e non l’avrei lasciato solo. Mi sento colpevole di quello che ho fatto».
Dicono che è meglio avere rimorsi che rimpianti. È il suo rimpianto?
«Io ho un sacco di rimpianti, moltissimi. Perché avrei voluto passare più tempo con tanta gente. Con mio padre, mia madre, mio fratello, avrei voluto avere dieci vite per poterne passare ognuna con una persona a cui ho voluto bene. Questo è quello che rimpiango».
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