Claudio Baglioni: “Elezioni europee? Non mi sento rappresentato da questa politica. Liti con Battisti e De Gregori? Vi spiego”. Claudio Baglioni sulle elezioni europee, le liti con Battisti e De Gregori, gli esordi, la carriera e non solo, il cantautore romano, 73 anni, si racconta in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
I suoi erano così poveri?
«Mio padre, da bambino, mangiava carne due volte l’anno. Fuggirono a Roma dall’Umbria, papà Riccardo da Ficulle, mamma Silvia da Allerona, per sposarsi. Nonna Barbara, detta Serafina, non voleva: “Se lo fate, vengo in chiesa e vi sputo”».
[…] Un corteo lei l’ha mai fatto?
«Qualcuno. Studiavo architettura a Valle Giulia, anche se mi sono laureato da adulto, studente lavoratore. Un giorno arrivarono i barbuti, i rivoluzionari, e ci fecero uscire dall’aula: “Fuori tutti!”. Mi tirarono una botta alla nuca, ma non mi girai a guardare chi era stato. La rivolta non guarda indietro».
Oggi le università sono di nuovo occupate.
«E a me un po’ di sommovimento non dispiace. È segno di vitalità. Certo, schierarsi tra Israele e Palestina come fossero due squadre per cui parteggiare è sbagliato. Ma questo mondo iperliberista, dove la vita delle persone non vale nulla e ogni cosa è una categoria merceologica, non mi piace».
Claudio Baglioni: “Elezioni europee? Non mi sento rappresentato da questa politica”
Ma come la pensa davvero Claudio Baglioni?
«Mi hanno affibbiato tutte le appartenenze. Finii per caso in un manifesto contro il divorzio, insieme con Al Bano, e passai per democristiano. Qualcuno disse di me, come di Battisti, che ero di estrema destra».
In realtà?
«Ho sempre votato nell’area progressista. Ma alle Europee penso di annullare la scheda. Non mi sento rappresentato da questa politica odierna. E non poter scegliere i propri rappresentanti o votare qualcuno che, già sai, non andrà a occupare quel ruolo, toglie valore alla volontà del popolo sovrano. E comunque distinguo tra cittadino e artista militante».
Perché?
«Perché l’artista nasce solo e muore solo. È un solista. Un po’ narciso, un po’ esibizionista. Di rado ha spirito di servizio».
Era meglio Berlusconi?
«Berlusconi non l’ho mai votato. Ma quando scrissi a tutti i leader per porre la questione Lampedusa, dove poi ho organizzato per dieci anni il festival O’ Scià, il primo che dopo tre ore mi telefonò fu lui: “Baglioni, lei e io facciamo lo stesso mestiere”. Risposi, credendomi disinvolto e spiritoso, che io non avevo mai fatto il presidente del Consiglio».
[…] Che formazione ha avuto?
«Cattolica. A Centocelle l’unica alternativa alla strada e, peggio alla delinquenza, era l’oratorio. Provai come chierichetto, ma scampanellai al momento sbagliato. A 12 anni facevo il catechista ai bambini di sei. A 14 sentii la vocazione, insomma la chiamata, e pensai seriamente di farmi prete. Però la mamma, che pure era molto devota, non era convinta. D’altronde, più tardi, mi raccomandò di cantare perché a studiare si rovinano gli occhi».
Claudio Baglioni: “L’esordio a Centocelle”
Su un palco di Centocelle esordì, sessant’anni fa.
«Scoprii che un amico tentava un concorso canoro, e volli provare anch’io. Mia madre sarta fece da costumista: ero vestito di rosa e azzurro, praticamente un confetto a due sessi; inguardabile. Mio padre scelse la canzone: “Ogni volta” di Paul Anka. Provavo le mosse davanti allo specchio di casa, che era dietro la porta dell’armadio”.
[…] Primo provino?
«Mamma mi accompagnò a Milano, in una pensioncina senza bagno, con un lavandino da cui scendeva acqua nera. Cantai nell’indifferenza più totale, accompagnato da musicisti svogliati, ne ricordo uno che suonava il contrabbasso fumando la pipa».
[…] Al provino romano andò meglio.
«Portavo una canzone, Signora Lai, su una donna che tradisce il marito. Con spavento noto che uno dei fonici che mi giudicherà ha il nome appuntato sul camice: S. LAI. Capisco che non posso dargli del cornuto, e cambio il titolo al volo. Signora Lia è nata così».
[…] E poi scrisse “Questo piccolo grande amore”.
«La scrissi come si scrive un testamento. Non pensavo di fare questo mestiere, non avevo la pelle per farlo. Ero un sentimentale come mio padre, mentre avrei voluto essere determinato come mia madre. Ed ero timido: un ragazzo di periferia che non batteva chiodo con le ragazzine. Aspettavamo l’occasione, e la nostra sala d’attesa era il bar della Rca».
[…] Chi è la ragazza di Piccolo grande amore?
«La mia prima moglie, Paola. Non tutto è autobiografia: c’è sempre una componente di invenzione».
[…] Poi andò in America, dove discusse con Battisti.
«Il dirigente della Rca propose un brindisi: “Al nostro cantante che in Italia è primo in hit parade!”. Lucio pensò si riferisse a lui; invece, quella volta, ero io. Ci rimase malissimo».
Claudio Baglioni: “Liti con Battisti e De Gregori? Vi spiego”
Anche con De Gregori aveste un battibecco.
«Lui disse in un’intervista, a Re Nudo o al Mucchio Selvaggio, di voler “inquinare il mare tranquillo e tranquillizzante di Mino Reitano e Baglioni”. Io gli risposi, non da una rivista alternativa ma da Sorrisi&Canzoni, che neanche “Buonanotte fiorellino” era un inno rivoluzionario. Ci fece incontrare un impresario di Cesena, Libero Venturi».
Un suo nemico è Antonio Ricci. Ha pure fatto un libro: “Tutti poeti con Claudio”.
«È un duello decennale con un solo duellante, lui. Ho provato a chiederne la ragione, mi hanno risposto: è tutto inutile, ti detesta. Non so perché. Mi ha messo anche tra i rifatti, con la disperazione di mia madre che reclamava che non era vero e che avevo la bocca bella come la sua ma il naso grosso come quello di mio padre. Mi sono quasi rassegnato: con la pace dei sensi arriverà anche la pace dei consensi».
Ricci sostiene che lei avrebbe copiato i testi da poeti illustri.
«Ho scritto più di ventimila versi, rispetto ai venti passaggi citati. Ci saranno senz’altro echi di frasi che mi hanno colpito. La creazione nasce anche dalla memoria e dalla rielaborazione. È sempre stato così».
Lei ha annunciato il ritiro dalle scene, anche se continua a riempire i palazzetti, i teatri, a settembre l’Arena di Verona. Perché?
«Subito dopo aver annunciato il ritiro, mi sono detto che avevo fatto una sciocchezza. Ma aveva ragione mio padre. Da ragazzino mi portava a vedere la boxe, incontri in cui pugili dilettanti si massacravano di botte, mentre gli spettatori urlavano di tutto, e lui mi copriva le orecchie perché non sentissi. Papà diceva che un pugile deve scendere dal ring da vincitore, non da suonato. E io ci tengo a essere un suonatore. Una volta avevo l’ufficio vicino a casa di Achille Togliani, che era un uomo bellissimo, una gran voce. Ogni tanto passava la moglie con il porta-abiti, e lo accompagnava a fare ancora qualche serata, anche se appariva ormai anziano. E io oggi ho più anni di quelli che aveva allora Achille Togliani».
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