Briganti, la serie Netflix fa la storia con poca Storia. Cast da applausi. E Salvatore Esposito è Crocco. Chi si aspettava di veder rappresentata una versione diversa da quella ufficiale sulle origini dell’Italia, probabilmente non è rimasto abbastanza soddisfatto da questo punto di vista. Agli appassionati di serie, invece, Briganti non può che essere piaciuta.
Dal cast fatto di attori giovani, e meno giovani, di puro talento, alle scenografie con paesaggi mozzafiato che probabilmente solo la Puglia poteva regalare. Ma anche la trama, l’azione senza sosta e la cura dei dettagli (le armi e gli abiti sono perfetti). Oltre all’ottima regia di Nicola Sorcinelli, appena 36 anni e già un nastro d’argento all’attivo, alla sua prima esperienza di questo genere.
Ma a proposito di storia, dicevamo, il racconto è stato ispirato da personaggi realmente esistiti ma molto romanzato. La trama non scende nei dettagli di quella che ancora oggi viene descritta come una liberazione, ma che in realtà non fu altro che uno sfruttamento e un impoverimento del Sud, causato dall’occupazione piemontese.
Il bicchiere però è mezzo pieno. Alcune verità importanti che sono emerse nel corso degli ultimi anni, nella serie Briganti vengono confermate. La caccia al tesoro del Sud, che all’epoca finì nelle casse sabaude e rappresentò la stragrande maggioranza della ricchezza nazionale. Una montagna d’oro rubata al Sud, senza la quale non si sarebbe mai potuto realizzare lo scopo truffaldino dei vari Cavour e Mazzini.
Lo sfruttamento del popolo meridionale
Anche la figura di Giuseppe Garibaldi nella serie Netflix viene poco trattata, citata solo nella narrazione iniziale. Ma anche qui il bicchiere è mezzo pieno poiché anche in questo caso, quello che ancora oggi viene descritto ufficialmente come l’eroe dei due mondi, in Briganti lo si conosce per ciò che è stato veramente: un mercenario che ha corrotto l’apparato istituzionale e militare borbonico promettendo terre e libertà, lasciando invece solo morte, povertà e distruzione.
Un’altra verità importante che vediamo nelle scene di questa avvincente serie, è lo sfruttamento del popolo meridionale, ridotto letteralmente alla fame, privato di qualsiasi diritto e, all’occorrenza, anche della vita (bastava anche solo un sospetto favoreggiamento per sterminare un intero paese). In Briganti il boia Fumel incarna perfettamente la figura dei vertici dell’Esercito Sabaudo, che ha perpetrato violenze e abusi ai danni dei cittadini meridionali, ispirando i peggiori criminali della storia.
Poca storia, dunque, ma con messaggi importanti che in questi giorni e nei mesi avvenire saranno visti da centinaia di migliaia di giovani, e non, su una delle piattaforme streaming più seguite al mondo. Tantissimi giovani meridionali a cui è stato detto di avere avi criminali, potranno invece riflettere sulle gesta di Filomena Pennacchio, Ciccilla, Michelina De Cesare e i Monaco, che hanno combattuto in netta inferiorità numerica in 300 contro un intero esercito) fino alla morte, “non per l’oro ma per la libertà”.
Briganti, perché la serie Netflix è destinata a fare scalpore
Dal punto di vista meramente televisivo, la serie è destinata a fare storia perché è l’unico prodotto televisivo che racconta una verità scomoda agli illustri fan degli ‘eroi risorgimentatori’. Le scene sono state girate quasi esclusivamente in Puglia, a Ugento e Melpignano, in provincia di Lecce, a Brindisi nel Castello Alfonsino. Poi vicino a Matera e a Manziana, nei pressi di Roma. I luoghi spettacolari che fanno da sfondo alle scene, valorizzano le ottime interpretazioni di un cast di attori veramente bravi. Su tutti Ivana Lotito, straordinaria nei panni di Ciccilla. Ma anche Michela De Rossi che nella serie è Filomena Pennacchio, o Matilda Lutz che finalmente restituisce a Michelina De Cesare la vera essenza di ciò che ha rappresentato.
E se in questo western-crime le vere protagoniste sono le donne, i colleghi maschi non sono stati da meno. Orlando Cinque (Pietro Monaco) da brividi, Marlon Joubert (Sparviero) impeccabile. Poi c’è Alessio Praticò (Don Orlando) che ormai si è capito: può interpretare chiunque e gli riesce sempre una meraviglia. Il piccolo Federico Ielapi (Julio) promette benissimo. E poi Nando Paone che riesce ad essere ironico e divertente anche in un contesto drammatico, e senza apparire fuori luogo.
Perché siamo sicuri di una seconda stagione
Infine Salvatore Esposito. L’attore napoletano ormai non più famoso solo come Genny Savastano, appare nelle ultime scene regalando un finale a sorpresa e, probabilmente, annunciando la seconda stagione. Si, perché chi conosce la storia dei Briganti sa che non si può prescindere da Carmine Crocco, il generalissimo e grande condottiero, capo indiscusso delle bande del Vulture, di alcune formazioni dell’Irpinia e altre della Capitanata.
Le cronache ci raccontano inoltre che accanto al generalissimo c’era Giuseppe Nicola Summa, meglio noto come Ninco Nanco, uno dei più devoti luogotenenti di Carmine Crocco, conosciuto per le sue brillanti doti di guerrigliero. La prima stagione di Briganti non fa cenno, o quasi, a questi due personaggi chiave della storia del cosiddetto Risorgimento. Per questo siamo convinti che vedremo una seconda stagione della serie Netflix, anche se dai vertici della piattaforma streaming non filtrano conferme per ora.
Nella speranza che la seconda stagione sia arricchita di maggiori riferimenti storici, riprendiamo alcune reazioni dei meridionalisti. Il Movimento Neoborbonico sottolinea le ‘‘tante verità storiche e tanto orgoglio nella serie “Briganti” su Netflix”.
Il comunicato del Movimento Neoborbonico
I neoborbonici, inoltre, “hanno inviato a produttori e autori della serie “Briganti” in onda (già con grande successo) da qualche giorno su Netflix ringraziamenti e complimenti per i contenuti e per la qualità dei 6 episodi online dal 23 aprile.
Non si tratta di un film storico ma la storia che fa da sfondo ai personaggi (reali i loro nomi) contiene molte delle tesi che spesso vengono definite “neoborboniche”: i sabaudi invasori e oppressori, il Sud tutt’altro che povero (e i conseguenti saccheggi), i massacri, le deportazioni, la crudeltà degli ufficiali piemontesi e l’eroismo dei briganti che combattevano “per la loro terra e per la libertà””, si legge nel comunicato.
“Evidentemente, nonostante il sostanziale monopolio di accademie e media, sono state finalmente superate le tesi di una cultura “ufficiale” che per oltre 160 anni ha raccontato il brigantaggio come guerra interna al Sud, o i briganti come semplici criminali.
È anche grazie alla diffusione di fiction come questa le prossime generazioni potranno fare tesoro di tante verità storiche associandole ad un orgoglio e ad un senso di appartenenza sempre più necessari e preziosi in questioni meridionali aperte proprio in quegli anni e mai risolte.
Resta anche la bellezza di un prodotto avvincente, tra scenari meravigliosi, una splendida fotografia ed una emozionante colonna sonora, a partire dal famoso canto dei briganti di Eugenio Bennato rivisto da Raiz”.
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