Anna Bonaiuto: “Il Re? In TV non accetto quasi nulla, qui ci sono per un motivo. Napoletana e friulana, un miscuglio proficuo”. Anna Bonaiuto su ‘Il Re’ e non solo, l’attrice per metà friulana e metà napoletana, 74 anni, ripercorre le tappe della sua vita privata e professionale in una intervista a ‘Io Donna’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
[…] Dal 12 aprile la vedremo su Sky Atlantic nella seconda stagione di Il re, con Luca Zingaretti direttore di un carcere. Cosa l’ha attratta del progetto?
“Non accetto quasi niente in tv, ma qui la sceneggiatura era buona, non banale. E mi piace il personaggio di questa Pubblico Ministero sarcastica, dura, sprezzante e apparentemente antipatica. Una tosta, insomma”.
E al cinema c’è Volare: impersona l’agente di Margherita Buy.
“È una commedia con una sua grazia. Finalmente una parte pure comica, dopo le lacrime che dobbiamo versare sui palcoscenici… La leggerezza è fondamentale, non ho mai pensato che il drammatico fosse superiore al comico. Che è un dono divino: la massima forma d’amore per l’umanità è farla ridere”.
Ma cos’è per lei recitare?
“Il mio modo di essere non felice – come sappiamo, la felicità non esiste – ma di esistere, di sentirmi viva, ecco”.
[…] Padre napoletano, madre friulana: un mix interessante.
“I miscugli arricchiscono, un cane bastardo è più intelligente e simpatico di un cane di razza… Questo confluire di mondi opposti (il Friuli silenzioso, malinconico, misterioso che invita all’introspezione, e la Napoli così carnale ed estroversa) è proficuo. La passione per il teatro, immagino, mi arriva dal Sud”.
Anna Bonaiuto: “Il Re? In TV non accetto quasi nulla, qui ci sono per un motivo”
E la ritrosia per le interviste, immagino, dal Nord… Che infanzia è stata, la sua?
“Un’infanzia da anni ’50, in un paese piccolo (Latisana, in provincia di Udine, ndr). Lontanissima da quella dei bambini di oggi: si stava fuori, maschi e femmine; si giocava a prendere le lucciole o al pallone. Appena ci hanno asfaltato la strada, gareggiavamo sui pattini a rotelle. Conoscevamo gli elementi con le mani (la terra, la frutta che rubavamo dagli alberi, gli animali). Non ho mai avvertito il peso dei genitori: adesso i padri e le madri ti iperproteggono e ti guardano – ce la fa, non ce la fa, si è piazzato ultimo… Ricordo di non aver mai avuto le ginocchia sane, avevo le croste perenni: cadere e farsi male era normale (ride)”.
Un episodio premonitore?
“Ho aperto un teatro alla fine delle elementari, in garage: avevo preso una tenda e messo un palchetto, e pretendevo che si pagasse il biglietto! Costringevo le mie tre sorelle – poverine! – a esibirsi e gli amichetti del cortile ad assistere. Ripensandoci, magari avevano timore di me: “Questa ci mena se non la assecondiamo” (risatona)”.
Dal garage al professionismo?
“Tutti abbiamo un professore che non ci ha insegnato solo le date: il mio era quello di filosofia. Gli comunicai, timidamente, che intendevo dedicarmi al teatro, purtroppo non sapevo in che modo. Dopo 15 giorni mi chiamò e mi mostrò i bandi sia del Piccolo di Milano sia dell’Accademia “Silvio D’Amico” di Roma. Scelsi Roma”.
Anna Bonaiuto: “Napoletana e friulana, un miscuglio proficuo”
Prima volta in platea da spettatrice?
“Mio padre ci portò ad assistere a Le bugie con le gambe lunghe. Della commedia di De Filippo non ho memoria, però all’uscita papà, parlando a bassa voce con mia madre, commentò: “Non era adatta alle bambine”. Parlava di tradimenti coniugali”.
E la prima volta sul palco?
“Fu il saggio finale dell’Accademia, nel 1972: La Centaura, con Luca Ronconi. Un trionfo barocco di costumi, piume, il gioco più bello che potesse capitarmi! Ero una donna vestita di nero, incavolata nera, che si presentava con un coltello in mano: “Io vi uccido, vi uccido. Mio marito è scappato”. Lo ritrovavo in un’isola deserta dove mi lanciavo nel pas de deux dello Schiaccianoci di Ciaikovskij: una parodia della danza classica esilarante! Mamma mia, che divertimento! Che sensazione impagabile, la gente che sghignazzava…”.
Le lezioni principali ricevute dai maestri?
“Certe frasi che ti rimangono. “Sul palco o parli con il tuo partner, o con te stesso nei monologhi, raramente con Dio, ma con il pubblico: mai!” ripeteva Ronconi, contro ogni vanitoso protagonismo. Ma ho rubato qualcosa da ciascuno”.
[…] In quanto donna si è mai sentita penalizzata?
“Eh, sì… Intanto per gli inizi: sono stata “cacciata di casa” (lo scandisce con voce impostata), come ci si sarebbe espressi nell’Ottocento. Mio padre lo considerava un mestiere poco serio, mi sono arrangiata grazie alla borsa di studio. Comunque non tiro in ballo rinunce, perché in realtà non ne ho mai fatte: non ho proprio mai pensato a sposarmi e avere figli. Mettiamoci però qualche dispetto da parte dei colleghi maschi, che non sopportano di averti alla pari. Niente nomi ma capita con tutti, dai più grandi ai più piccoli (ride)”.
Anna Bonaiuto: “Elena Ferrante? Non so chi sia”
Non dimentichiamo la sua pluripremiata prova in L’amore molesto, dal romanzo di Elena Ferrante. Ha idea dell’identità della scrittrice?
“Continuo a non sapere, non dico bugie! Una volta al premio Strega ho scherzato: “Basta, un giorno confesserò che la Ferrante sono io!”. Era una battuta, ovvio, eppure qualcuno per un attimo ci ha creduto. Ho talmente stima di chi nella nostra epoca non vuole apparire, non vuole presentarsi in tv con il suo libro in mano. Mi sembra stupendo!”.
Non è l’unico “scambio di persona” che la riguarda. L’hanno sospettata di essere una brigatista.
“E tutto per un volantino con la stella a cinque punte che mi avevano dato a piazza Navona e avevo piegato in borsa. Borsa che ho perso: da lì è nata la questione. Non sapevo di essere seguita, pedinata e quando ho subito una perquisizione notturna, non ci ho dato peso: era il periodo delle perquisizioni”.
E come si è resa conto?
“Anni e anni dopo è uscito il libro di uno di cui ho cancellato il nome: sosteneva che Marco Bellocchio fosse il capo delle Brigare Rosse e io quella che aveva sparato a Moro… I carabinieri mi hanno chiesto di presentarmi come persona informata sui fatti. “Quali fatti, scusi?”. L’omicidio Moro. E ho iniziato a ridere al telefono…”.
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