Antonio Albanese: “Scuola? L’ho lasciata a 14 anni ma per mio figlio ho stappato una bottiglia. E sui crocifissi alle pareti…”. Antonio Albanese sulla scuola e non solo, l’attore brianzolo, 59 anni, veste i panni di un maestro nel suo nuovo film ‘Un mondo a parte’ in uscita dal prossimo giovedì, 28 marzo. Ne parla in un intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Quale fu il tuo primo maestro?
«Non fu un maestro, ma una maestra. Una maestra a volte disperata perché ero un bambino abbastanza vivace. Sempre stato vivace, sempre avuto una bella energia. Abitando tra il lago e il bosco, poi… Ma una cosa la ricordo bene: anche lei, come tutti i maestri, aveva una credibilità oggi troppo spesso perduta. Non capitava, allora, che il papà di un bambino pestasse a sangue un insegnante, come ho letto che è successo da qualche parte l’altro giorno. Stiamo incontrando un sacco di maestri, in questi giorni. Sono stupiti che si parli di loro, finalmente. E confessano spesso di essere intimiditi dall’aria che tira».
[…] Il vostro film comincia con un bambino della periferia romana che va a riprendersi il cellulare requisito: «Sennò chiamo papà e te faccio ammazza’ de bbotte».
«È così. Nelle periferie di certe grandi città, ma non solo, tira un’aria così».
Antonio Albanese: “Scuola? L’ho lasciata a 14 anni”
[…] Come avete scelto Rupe, nel Parco Nazionale d’Abruzzo?
«Rupe non esiste. È inventato. Ma il borgo di Opi dove abbiamo girato c’è davvero. Bellissimo. E così Pescasseroli. Riccardo Milani, il regista con cui avevo già lavorato in Come un gatto in tangenziale e altri quattro film, l’ha scelto perché conosceva il tema e perché frequenta da anni la zona. Era rimasto colpito dal disagio di quei maestri che devono affrontare 50-60 chilometri, in montagna, per raggiungere la loro classe. E l’importanza che una scuola viva sennò muore il paese».
Avete toccato un tasto sensibilissimo. Sai quante sono le scuole a che hanno chiuso negli anni?
«Lo immagino: una marea. Con Cento domeniche volevo parlare dell’ingordigia delle banche che ha rovinato milioni di persone. Chissà che con questo non si parli un po’ di più della scuola. Perché è un disastro una scuola che chiude. Muore un paese».
[…] Ma dopo aver fatto l’industrialotto lumbard e lo scafato politicante calabrese ti sei imparato l’abruzzese?
«Impossibile. È un miscuglio di tante lingue diverse. Milani ci teneva: dovevano tutti parlare quel dialetto lì. Questione di credibilità. Io appena ho imparato a capirlo. Virginia invece, cocciuta, si è fatta aiutare da due coah, battuta dopo battuta. Una perfezionista. Bravissima. Doveva essere credibile».
A un certo punto nel film c’è un bambino, Khaled…
«E si presenta dicendo: “Sono Khaled, marsicano”! Irresistibile. È marsicano davvero. Figlio di immigrati arrivati trent’anni fa che coltivano le lenticchie. Il mondo è cambiato. La scuola con loro è cambiata».
Antonio Albanese: “Scuola? Per mio figlio ho stappato una bottiglia”
Stai dicendo che tu non avresti piantato una grana sulla giornata di vacanza per il Ramadan subito recuperata?
«Ma è ovvio. È stato solo segnale di rispetto. Cosa c’entra la sottomissione?»
Quindi non sei d’accordo con Valditara?
«No. In questo caso no».
Il che non vuol dire togliere i crocifissi dalle pareti.
«Assolutamente. I crocifissi alle pareti devono restare perché quella della nostra storia. È la nostra cultura. Ma questo non vuol dire rifiutare a priori qualsiasi cosa della cultura altrui».
Dicono i numeri ministeriali che fra 10 anni gli studenti italiani scenderanno dai 7,4 milioni del 2021 nell’anno scolastico 2033-34 a poco più di 6 milioni.
«Non sapevo che numeri fossero così drammatici. Ma non mi meraviglia».
[…] L’idea di «adottare» dei bambini stranieri per salvare la scuola ricorda un po’ il maestro che nel Cuore di Edmondo De Amicis presenta ai suoi scolari piemontesi il ragazzino che viene dalla Calabria: «Vogliategli bene, in maniera che non s’accorga di esser lontano dalla città dove è nato»…
«È cambiato tutto, da allora. È questa integrazione con i bambini profughi dell’Ucraina e i figli dei marocchini che salva la “nostra” scuola. Non capirlo è insensato».
Ti è pesato, tanti anni fa, lasciar la scuola a quattordici anni per andare in fabbrica?
«La cultura era quella, allora. Amen. Certo, a ripensarci oggi… Quando mio figlio mi ha detto che voleva fare il liceo classico sai cosa ho fatto?»
Cosa?
«Ho stappato una bottiglia».
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