Giulio Golia: “Mi hanno sparato due volte ma non mi fermo. Le Iene? Ho pensato di mollare ma altrove manca libertà”. Giulio Golia sparato due volte ma non si ferma, è lo stesso giornalista napoletano, 53 anni, la metà dei quali alle Iene, si racconta in una intervista a ‘Tv Sorrisi e Canzoni’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Giulio Golia: 53 anni, 26 da iena. Mai pensato di mollare?
«Sì, sì».
E perché non l’ha fatto?
«Perché guardo il panorama televisivo di quello che potrei fare. Qui c’è una libertà che in giro non trovi».
Non si è stufato?
«Ho ancora tantissimi stimoli, oltre alla gratitudine delle persone. Ti fermano per strada e non ti chiedono il selfie, ma ti ringraziano per quello che fai. Ti senti responsabile della fiducia che ripongono in te».
Ormai è la iena con più “anzianità” aziendale.
«Ne sono fiero, c’è un senso di appartenenza, siamo come una famiglia».
Com’è cambiata la professione di iena in un quarto di secolo?
«All’inizio eravamo dei cavalli pazzi allo sbaraglio, a volte non sapevamo dove andare a parare. Adesso ognuno ha una caratteristica, una specialità».
Giulio Golia: “Le Iene? Ho pensato di mollare ma altrove manca libertà”
La divisa è rimasta la stessa.
«Ho un armadio solo con divise nere e camicie bianche, dalle misure mi rendo conto degli anni trascorsi: qui ero una taglia 58, qui una 52, c’è quella strappata quando mi massacrarono di botte…».
[…] Partendo dal principio: tutto inizia nel 1997.
«Prima facevo serate di cabaret, ancora oggi ho una band, canto e faccio spettacoli, è la mia valvola di sfogo. Nella metà degli Anni 90 vinsi dieci puntate di “La sai l’ultima?”, ero il re della barzelletta, poi ho fatto lo “scaldapubblico” per Paolo Bonolis».
Fino al cambio di rotta.
«Nel ‘97 mi arrivò la voce che stavano cercando persone per un nuovo programma a Mediaset. Contatto l’ideatore Davide Parenti e gli chiedo di entrare nella squadra. Mi disse di portare un’idea da realizzare».
Che idea portò?
«Quella di Toto Fattazzo, personaggio che sputava mentre parlava. Nasceva dalla mia napoletanità. Da noi quando accadono fatti assurdi si dice: “A questo ’o sputasse in faccia”, intendendo che si è esagerato».
Primo servizio?
«Andai da uno che aveva bastonato e gettato un cane in un pozzo. Sputacchiavo con un certo metodo, come avessi un difetto di pronuncia. Ogni “pecché?” detto con accento calabrese era uno sputazzo».
Giulio Golia: “Mi hanno sparato due volte ma non mi fermo”
E così diventa una iena.
«Dopo due giorni il critico televisivo Aldo Grasso scrive una recensione che conservo ancora, anche se poi mi ha massacrato: “Geniale, dirompente, camaleontico”».
[…] Il momento peggiore?
«Quando mi hanno sparato. Due volte. La prima sulla macchina come avvertimento mentre mi occupavo del clan camorristico dei Casalesi. Poi in Puglia, quando finsi di essere un immigrato scappato da un centro per rifugiati: suonai a una casa per chiedere dell’acqua e mi spararono. Ero nel posto sbagliato al momento sbagliato».
Paura folle?
«Quando vedi un fucile a canne mozze e ti sparano, c’è solo adrenalina. È solo dopo che il pensiero ti fa venire paura. Capita abbastanza spesso quando tratti argomenti come ‘ndrangheta, camorra, mafia, o vai a sentire pseudo informatori in posti assurdi».
Ora il mestiere è diverso?
«Sono cambiati i mezzi, le telecamere, ma alla fine in giro ci sei tu e il tuo regista-autore. Fare “Le Iene” non è una passeggiata, sei sempre in movimento, non hai un copione. A volte ti fermano e ti raccontano problemi così grandi, cose così intime che non lo sopporti».
È tutto davvero insopportabile?
«No! Ero a “Le Iene” da un paio d’anni, un giorno arrivo agli studi Mediaset, esce un’auto con i vetri scuri, si apre un finestrino: “Golia!”. Silvio Berlusconi scende e mi stringe la mano: “Grazie per quello che fai”. Sono rimasto a bocca aperta senza spiccicare parola».
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