Maurizio Costanzo, il figlio Saverio: “Film su mio padre? Un aspetto mi ha stupito. È stata De Filippi a riavvicinarci”. Maurizio Costanzo, il figlio Saverio, parla del film su mio padre e non solo, il regista romano, 48 anni, racconta alcuni aneddoti sul celebre giornalista e scrittore scomparso quasi un anno fa, in una intervista a ‘Il Corriere della Sera’. Ve ne proponiamo alcuni passaggi.
Saverio Costanzo, il suo ultimo film, “Finalmente l’alba”, è dedicato a suo padre.
«Se ne sono stupiti in molti, e mi sono interrogato sul motivo. Un padre se ne è andato, un figlio gli dedica il suo film: è normale, no? Forse dipende dal fatto che io di mio padre non ho mai parlato. Non ho quasi foto con lui».
Perché?
«Per timidezza. Per riservatezza. Non solo non volevo usare il suo nome; non volevo socializzarmi come il figlio di Maurizio Costanzo. Non intendevo apparire come quello seduto su una fortuna, su un privilegio. Alla fine il privilegio c’è comunque; ma io non lo sapevo».
[…] Qual è il primo ricordo che ha di lui?
«Lo rivedo nella sua camera da letto, affacciata su una chiostrina, con una coperta anni 70, una trapunta bianca con i quadrati neri. Papà non ha mai dormito con mamma, come non credo abbia mai dormito con nessuna delle sue mogli. Stavamo in centro, in via dei Banchi Nuovi, al secondo piano. Ma lui se ne è andato di casa molto presto, quasi subito».
Com’erano i vostri rapporti?
«Volevo molto bene a papà. Ma avevo una madre forte e molto presente, che non ci ha mai fatto sentire la sua mancanza. Poi certo abbiamo avuto i nostri conflitti, come sempre tra il padre e il figlio maschio. Devo molto a Maria. Fu lei a riavvicinarci».
Maurizio Costanzo, il figlio Saverio: “È stata Maria De Filippi a riavvicinarci”
Maria De Filippi?
«Andavano da Mességué perché lui doveva sempre dimagrire. Una volta Maria gli disse: portiamo anche tuo figlio. Allora avevo tredici anni, ed ero pure io un po’ grassoccio… Lui all’inizio non voleva: “ma no, che palle!”. Finì che ci divertimmo tantissimo, sembravamo Sordi e Verdone nel film “In viaggio con papà”. Ci era toccata la camera insieme, un incubo. Se mi svegliavo (affamato) nel cuore della notte russava talmente che non riuscivo più a prendere sonno. All’inizio mi pareva uno sconosciuto. Poi mi resi conto che papà era un uomo di un umorismo straordinario. E così, complice una certa sorniona ironia tipica dei romani che condividiamo, ci siamo ammazzati dalle risate».
E lei?
«Io ero un po’ stronzo: quando ho cominciato a fare il regista, non volevo che parlasse di me. Ed ero anche un po’ snob. Lui no. Lui era un uomo di tv; e un uomo di tv è di tutti».
[…] Dopo la laurea lei partì per l’America.
«E girai un documentario a Brooklyn, sugli italoamericani del Caffè Mille Luci. C’erano il sedicente avvocato, l’idraulico, l’autista di scuolabus, Alfonso, che mi ammoniva di non andare mai a Manhattan, “perché so’ tutti froci”. Un giorno venne Anthony Genovese, il mafioso, che mi consentì di continuare a girare, a patto di non riprenderlo mai. Ero diventato uno di loro, fino a quando non fui scoperto».
Come accadde?
«Come avventori del bar fummo invitati a Rai International a vedere la partita della Roma, tutti con la sciarpa giallorossa, come pubblico della trasmissione che conduceva Ilaria D’Amico, che per gli italiani all’estero era come la Carrà. La conoscevo e così le chiesi di far finta di nulla, ma lei non si trattenne: “Ciao Saverio!”. Così scoprirono chi ero, e chi era mio padre. E si ruppe il rapporto di fiducia. Non ero più uno di loro».
Maurizio Costanzo, il figlio Saverio: “Mio padre una figura controversa”
[…] E per lei suo padre chi era?
«Una figura controversa. Non mi aprivo, non gli mostravo il mio dolore. Di consigli ne ho chiesti più a De André o a De Gregori, i cantautori che ascoltavo. I detrattori lo additavano come un uomo di potere, come un navigatore amico di tutti, di Berlusconi e di D’Alema e anche a me spesso il suo lato pubblico risultava inautentico. Ma poi nel tempo ho scoperto che non faceva calcoli, semplicemente si muoveva come se dovesse dare davvero tutto a tutti. Gli chiedevo: ma perché fai un sacco di lavori, pure la tv di San Marino? E lui rispondeva: perché non riesco a dire di no, per rispetto del lavoro che oggi c’è ma domani? In realtà, vede, era autenticamente umile. E su tante cose aveva ragione lui. Alcune le ho scoperte solo dopo la sua morte».
[…] Lei ha portato al cinema e in tv i due romanzi italiani di maggior successo degli ultimi quindici anni, La solitudine dei numeri primi e L’amica geniale.
«Il libro di Paolo Giordano ha venduto due milioni di copie; eppure non ho fatto il film che i lettori si aspettavano e volevano. C’era un combattimento dentro di me, un braccio di ferro tra “la nicchia” e lo spirito nazionalpopolare che invece mio padre incarnava senza complessi. Solo con il tempo ho fatto pace con questa cosa».
Sul set lei incontrò la sua compagna, Alba Rohrwacher.
«E pensare che detestavo la campagna, il miele, lo dicevo proprio: che noia questa storia della Rohrwacher, la campagna, il miele. E poi invece non solo ho imparato ad amare la campagna e il miele, ma soprattutto lei».
Maurizio Costanzo, il figlio Saverio: “Elena Ferrant? Non ci ho mai parlato”
Ed Elena Ferrante, o come si chiama davvero, l’ha mai incontrata?
«No. È rimasta un fantasma. Ho un pacco alto così di mail che ci siamo scambiati. È stata lei a scegliermi come regista per la serie tratta dai suoi romanzi».
Perché?
«Non lo so. Forse perché per me l’autorità è femmina. Ho imparato moltissimo dalla cultura femminista. Sono cresciuto in un ambiente matriarcale, dove quello sbagliato, in quanto maschio, ero io».
Anche nel suo nuovo film, «Finalmente l’alba», la protagonista è una giovane donna, Mimosa. Si ritrova nello stesso ambiente costato la vita a una coetanea con il sogno del cinema, Wilma Montesi, ma ne esce viva e più forte.
«Il caso Montesi fu la perdita dell’innocenza dell’Italia del dopoguerra. Per me è anche una suggestione felliniana: la ragazza che Mastroianni incontra sulla spiaggia di Fregene nella Dolce Vita è Wilma. Lei è già morta, infatti grida e lui risponde: non ti sento. Da allora molto è cambiato, ma l’Italia è ancora un Paese misogino. Il film è un invito al coraggio. Anche al coraggio di ritrovare la parte femminile che è in ognuno di noi».
Nel film Alida Valli è Alba Rohrwacher, mentre la diva americana è interpretata da Lily James: seducente ma fredda.
«Le dive degli anni 50 erano costrette — per essere libere, per avere potere — a sedurre, a compiacere sempre le aspettative del maschio. Era il loro ruolo. L’archetipo è Marilyn Monroe. Un’altra che, come Wilma Montesi, non si è salvata».
Maurizio Costanzo credeva nell’aldilà, era convinto che a salvarlo dalla bomba di mafia fosse stato suo padre. Anche lei crede a una vita dopo la morte?
«Ho paura a dirlo, ma ci credo. Non è una convinzione, è una speranza».
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